Sono passati oltre vent’anni dall’uscita di Silent Hill 2, frutto del promettente ed enigmatico Team Silent, nonché classico intramontabile del genere survival horror. Con il passare del tempo, la formidabile legacy del titolo non ha mai perso di importanza, ispirando un quantitativo elevatissimo di piccole e grandi produzioni grazie al forte stampo psicologico dell’esperienza.
La saga giapponese, edita da Konami, ha vissuto inoltre un periodo di violenta decadenza, che ha portato alla chiusura del team e successivamente a un completo stallo dell’IP a partire dal 2012.
Dopo la fumosa cancellazione del progetto P.T. (Playable Teaser) nel 2014, ogni speranza di vedere un ritorno della saga sembrava andata in fumo, portando i fan a perdere progressivamente fiducia nei confronti delle aziende responsabili.
Sarà solo nel 2022 che il destino di questa sfortunata serie si incrocerà con un nuovo team di sviluppo, già ben noto nel panorama dei titoli horror indipendenti: Bloober Team.
Questi ultimi avevano già avuto modo di sperimentare sul tracciato di Team Silent con la pubblicazione di The Medium, titolo horror psicologico con camera fissa che condivideva davvero molto con l’IP di Konami.
Ed è così che, fra una critica e l’altra, il team polacco è riuscito ad avanzare la proposta di un rifacimento del capitolo di Silent Hill più amato in assoluto, così da poter essere apprezzato con rinnovato interesse dalle nuove generazioni di giocatori.
Diciamocelo, non molta fiducia è stata riposta nei confronti di questi nuovi sviluppatori e, per quanto alcuni dubbi potessero essere giustificabili, la community si è dimostrata fin troppo brutale e ostile nei confronti di un prodotto che aveva ancora tutto da dimostrare.
Fra le principali ragioni un curriculum fatto di alti e bassi, oltre ad una (fin troppo conveniente) frustrazione nei confronti del fenomeno dilagante dei Remake e delle Remastered che sembrano aver preso d’assalto il mercato di questa nuova generazione di console.
Il nostro pensiero a riguardo meriterebbe un articolo separato, ma in questa sede e per questo gioco in particolare ci limiteremo a citare Italo Calvino:
“Un classico è un libro che non ha mai finito di dire quel che ha da dire“
Con queste premesse, abbiamo tentato di svuotare la mente da ogni pregiudizio, nella speranza che Bloober Team fosse riuscita nel titanico compito di catturare lo spirito immortale di questo importante capitolo della storia videoludica.
Di seguito, la nostra recensione!
NARRATIVA
Don’t worry, I’m not crazy… at least, I don’t think so…
L’incipit narrativo di Silent Hill 2 rimane lo stesso che ci aveva accolto freddamente oltre 20 anni fa, catapultandoci nei panni di James Sunderland e nei violenti deliri della sua psiche contorta.
Giungiamo nella città di Silent Hill, un luogo spettrale e silenzioso che ci è stato menzionato in una lettera della nostra defunta moglie, la quale afferma di starci aspettando in un luogo da noi considerato speciale.
I ricordi di James sono offuscati e incerti, ma in lui cresce la speranza che la moglie possa davvero essere viva, e tanto basta per avventurarci nella fitta nebbia che sembra inghiottire ogni cosa.
Durante la nostra disperata ricerca, incontreremo una manciata di personaggi che, come noi, sembrano essere stati attratti in quel luogo in cerca di qualcosa o qualcuno.
Fra di loro, solo uno si unirà alla nostra ricerca: Maria, la cui somiglianza con nostra moglie Mary colpisce profondamente James.
La narrazione porta in scena il soccombere dell’essere umano al peso dei propri traumi e sensi di colpa, che nella misteriosa città di Silent Hill si manifestano sotto forma di creature grottesche e spaventose, pronte a condurci alla perdizione.
Le chiavi di lettura sono molteplici e sempre valide, e interpretare ancora una volta James mentre si perde nei meandri della propria coscienza è stata un’esperienza non meno potente e magnifica dell’originale.
In questo senso, l’anima di Silent Hill è stata trasposta senza alterazioni dal team di Bloober, il quale si è concesso una serie di piccole libertà che non rappresentano nulla di coraggioso o irrispettoso nei confronti dell’opera originale, bensì si amalgamano alla perfezione nel contesto preesistente. Fra queste figurano in particolare un paio di finali inediti che si aggiungono ai sei del titolo del 2001.
Gli aspetti che hanno maggiormente influenzato la resa della narrazione sono riscontrabili soprattutto nella costruzione del personaggio di James e nelle interazioni che ha con il resto del cast.
Siamo rimasti molto soddisfatti del modo in cui il carattere di ciascun comprimario è stato immortalato ed espanso attraverso le possibilità espressive offerte dal motion capture.
Le cutscene del titolo originale in FMV sono forse tra le caratteristiche più iconiche del gioco; nondimeno, ci sentiamo di confermare che gli è stata fortunatamente resa giustizia.
In questo modo, accompagnando un James più umano che mai, la storia non ha minimamente perso il suo impatto, risultando invece amplificata dall’utilizzo di tecnologie all’avanguardia, oltre che da un buon doppiaggio e acting.
L’unico appunto che ci sentiremmo di fare è rivolto agli approfondimenti su Silent Hill, disseminati nelle varie location, che per quanto siano molto interessanti e già presenti in una certa quantità nell’originale, sono forse vittima di un eccessivo utilizzo di foglietti e note come modalità di narrazione.
GAMEPLAY
Is it dead? What the hell is it? It’s not human…
Per quanto lo si possa apprezzare, il gameplay dell’originale Silent Hill 2 è probabilmente l’aspetto che più necessitava di un rifacimento, avendo avvertito con particolare forza il passare del tempo ed il passaggio generazionale.
UNA DERIVA ACTION BEN CALIBRATA
Sebbene sia vero che i combattimenti abbiano da sempre rappresentato una parte sostanziale di questo secondo capitolo, è abbastanza indubbio che il focus del videogioco di Konami fosse più incentrato sui ritmi lenti e la sopravvivenza disperata rispetto al suo fratello Resident Evil.
Da questo presupposto nasceva la paura che il remake potesse snaturare il core dell’esperienza di gioco, dando un’attenzione eccessiva agli aspetti più action a discapito dell’esplorazione e della risoluzione degli enigmi.
Il primo grande cambiamento riguarda la telecamera, non più fissa ma piazzata alle spalle del personaggio. Se da un lato si perde un po’ l’opportunità di costruire delle scene registicamente sorprendenti, non si tratta di altro che della naturale negazione di una scelta che era dovuta principalmente ai compromessi hardware del tempo.
Questa evoluzione ha permesso la costruzione di un combattimento sicuramente più frenetico, ma non per questo invasivo o prevalente sul resto dell’esperienza. Si parla comunque di un sistema piuttosto legnoso e ripetitivo, impuntato alla funzionalità ancor prima che alla complessità, talmente tanto che il tutto sarà delegato a solo due tasti dedicati alla schivata ed al colpo.
Allo stesso modo, lo shooting non è perfetto, ma regala nel complesso delle buone sensazioni, costringendoci a fare un uso controllato ed alternato delle 3 armi che troveremo nel corso dell’avventura.
Questa necessità, che è alla base della formula survival horror, viene dettata dalla costante esigenza di rifornire le nostre scorte di munizioni e medicine attraverso l’esplorazione degli ambienti.
Giocando a difficoltà normale, le risorse saranno davvero molte e difficilmente rimarremo senza, specialmente se saremo disposti a dedicare parte del nostro tempo all’ispezione di cassetti e armadi che possono contenerle.
Il risultato è un titolo che si è rivelato essere piuttosto semplice se affrontato sul livello di difficoltà standard, talmente tanto che non siamo morti neppure una volta nel corso delle 20 ore di gioco necessarie alla stesura di questa recensione.
ESPLORAZIONE E PUZZLE
Uno degli aspetti di cui maggiormente si può apprezzare l’evoluzione in questo remake è senza dubbio l’esplorazione degli ambienti, che non è soltanto stata espansa da un punto di vista quantitativo ma anche resa più fluida e apprezzabile grazie ad una serie di QoL.
Infatti, osservando la mappa, noteremo l’impegno di James nel segnare le strade già percorse e nel prendere una varietà di appunti su eventuali enigmi e punti di interesse da visitare ancora a fondo. Come accennato in precedenza, esplorare ci permetterà di raccogliere risorse, note, collezionabili, e a volte anche di accedere ad alcuni enigmi opzionali.
Se dovessimo trovare un aspetto del gameplay particolarmente brillante di questo remake, sarebbero senza dubbio i numerosissimi puzzle, fra i vecchi e gli originali che faranno da sfondo alla nostra traversata di Silent Hill. Nella modalità standard, questi risultano piuttosto intuitivi, ma al contempo abbastanza appassionanti e complessi da richiedere un certo livello di concentrazione.
Allo stesso tempo, i puzzle ambientali sembrano scandire in maniera impeccabile il ritmo di gioco, costruendo una traccia di linearità ben marcata in un titolo altrimenti piuttosto aperto e dispersivo nelle sue varie sezioni.
Questo non significa che non siano presenti delle sequenze di gioco frustranti e ripetitive, o situazioni in cui il level design non brilla e il processo di estensione del remake in lungo e in largo non aiuta affatto. Location come l’ospedale o le prigioni di Toluca, a prescindere dai miglioramenti apportati, risultano ancora oggi piuttosto pesanti da digerire, rappresentando tra l’altro degli spike di difficoltà piuttosto evidenti.
Ciononostante, Silent Hill è magnetica e magnifica come l’avevamo lasciata, ed esplorarla ha un fascino unico, amplificato dall’aggiunta di nuove location visitabili e nuovi puzzle.
COMPARTO ARTISTICO E SONORO
In my restless dreams, I see that town…
Che sia nel film del 2006 o nelle varie iterazioni successive del brand, Silent Hill non è mai stata così bella e suggestiva, ed immergersi nelle sue atmosfere malinconiche e sognanti è un’impresa tutt’altro che difficile.
La nebbia, divenuta tanto iconica nel contesto del gioco, avvolge il nostro personaggio con estrema naturalezza, trasformando un intelligente compromesso tecnico in un’eccellente dimostrazione di stile e competenza. Al contempo, i dettagli sono minuziosi e disseminati ovunque, dimostrando un’incredibile cura nella realizzazione degli ambienti interni ed esterni.
La guida del leggendario artista Masahiro Ito (lo stesso designer del gioco originale) ha permesso al team di Bloober di catturare e rivitalizzare l’animo contorto e disgustoso degli incubi che abitano le rovine di Silent Hill, portando spesso e volentieri il giocatore all’inquietudine e al terrore.
Meno convincenti sono invece i modelli dei personaggi, a tratti spettacolari ed in altri casi abbastanza discutibili a seconda dell’illuminazione o del posizionamento nella scena.
Anche con queste premesse, la colpa va a ricadere principalmente sulla realizzazione delle animazioni, generalmente di buon livello ma non sempre all’altezza. È stato spiacevole notare che alcune di queste sono state completamente evitate in favore di un’interazione semplificata e immediata, che in tutta onestà rischia di spezzare l’immersione.
Una scelta che pare particolarmente strana quando si può invece apprezzare un notevole quantitativo di soluzioni proprio per favorire l’immedesimazione nel gioco, basti pensare alla quasi totale assenza della UI e alla possibilità di esaminare da vicino gli oggetti nell’inventario.
Per quanto riguarda invece la soundtrack, Akira Yamaoka è riuscito nella difficile impresa di raddrizzare un tiro già perfetto, riarrangiando le iconiche tracce originali e componendone di nuove per accomodare la longevità aumentata di questo remake.
Talvolta un delirante background sonoro composto di echi e melodie dissonanti, altre volte un rock carico di malinconia ed emozione, la colonna sonora di Silent Hill 2 Remake rimane una delle migliori della storia dei videogiochi.
La stessa cura sembra essere stata dedicata al comparto audio nel senso più largo della parola, registrando una varietà impressionante di suoni per ogni evenienza e instillando vero e proprio terrore nell’approcciarsi delle creature.
Ottimo anche il lavoro di doppiaggio inglese, profondamente espressivo e capace di allinearsi al motion capture nell’emozionare il giocatore.
OTTIMIZZAZIONE E BUG
Prima di concludere questa riesamina, è doveroso dedicare un capitolo all’ottimizzazione e alla stabilità dell’esperienza di gioco. Con una RTX 3080 ed un i9 di decima generazione, siamo riusciti a girare il titolo in 4K, dettagli massimi e DLSS su prestazioni (Raytracing disattivato) ad un framerate oscillante fra i 45 e 60 fps.
Seppure non al livello di alcune brutte esperienze passate, questo titolo sembra soffrire della medesima instabilità che caratterizza i titoli realizzati con quest’ultima iterazione dell’Unreal Engine, rinomatamente pesante e dispendioso di risorse.
Non aiuta particolarmente la scalabilità delle opzioni, il cui unico impatto apprezzabile sembra essere relegato a risoluzione e qualità delle ombre.
Ci troviamo ancora una volta ad analizzare un titolo che sembra poggiare fin troppo sulla disponibilità delle tecnologie di upscaling come DLSS, XeSS, TSR e FSR, non dando però abbastanza attenzione all’importanza di un lavoro di ottimizzazione sull’esperienza nativa. Il risultato è un’immagine che risente abbastanza pesantemente dell’attivazione di queste tecnologie, specialmente nella resa di elementi fini e delicati come i capelli durante le cutscenes.
Parlando invece della stabilità, siamo rimasti piacevolmente sorpresi dal constatare che la nostra esperienza è stata del tutto priva di qualsivoglia bug, ad eccezione di un fastidioso problema che sembra aver completamente distrutto il posizionamento dei suoni nello spazio d’ascolto.
Siamo fiduciosi nell’affermare che le problematiche relative all’ottimizzazioni possano venire smussate dal team con le patch successive al rilascio, come del resto è già accaduto per i titoli precedenti pubblicati da Bloober.
Ringraziamo Konami per averci fornito una chiave del gioco per realizzare questa recensione.
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