In ambito videoludico, sappiamo quanto il mercato giapponese sia stato e sia tuttora uno dei più importanti dell’intera storia del medium: negli ultimi anni però, la cultura orientale del videogioco si sta sviluppando in maniera esponenziale anche in Cina, il che ha portato alla creazione di numerosissimi nuovi progetti e studi di sviluppo.
In tal senso, spicca il famoso China Hero Project, un programma appositamente ideato da Playstation per sostenere i suddetti team e valorizzarne il talento: tra i titoli nati da questa iniziativa vi è un certo Awaken: Astral Blade, sviluppato da Dark Pigeon Games e pubblicato da ESDigital Games lo scorso 22 ottobre.
Di seguito, la nostra recensione!
Trama e narrazione
Gli eventi hanno inizio quando la protagonista Tania, una ragazza bionica con innesti cibernetici, viene mandata sulle Isole Horace dal dottor Herveus, suo ideatore e creatore, al fine di investigare su un curioso picco della cosiddetta energia Karpas, le quali proprietà chimiche ne hanno sconvolto il bioma naturale e trasformato gli elementi di fauna e flora in pericolosi mutanti assetati di sangue.
Qui, facendosi strada con la forza tra le suddette minacce, arriverà a fare delle scoperte sconvolgenti non solo sulla natura dell’energia Karpas e sui relativi esperimenti compiuti dalla Orson Technology, ma anche sulle storie e sui rapporti tra gli antichi clan e le civiltà che un tempo popolavano queste isole.
In tutto ciò, dovrà anche fare i conti con il proprio passato in una serie di rivelazioni che metteranno in dubbio la sua stessa esistenza in logiche filosofiche che andranno a riguardare tematiche come il libero arbitrio ed il valore della vita.
Purtroppo, il tutto si semplifica in una delle rappresentazioni più calzanti della terminologia “tutto fumo e niente arrosto”: oltre a personaggi dalla personalità iper generica, vi è un’esposizione della trama a dir poco blanda, fatta di dialoghi e conversazioni dalla scrittura estremamente basilare, che cerca in ogni modo di dare enfasi ad eventi e rivelazioni che non riescono mai a rivelarsi veramente interessanti.
Ci si ritrova quindi ad assistere a cutscene ed altre sequenze narrative che pretendono di essere dense di tensione ma che, ahimè, mancano completamente il bersaglio.
Stesso discorso per la componente loristica dell’opera, che cerca fin troppo di essere più elaborata e profonda di quanto non avrebbe potuto: se ad un primo impatto vi verrà voglia di completare missioni secondarie e leggere le descrizioni dei vari oggetti e documenti, una volta compresa l’entità di quegli approfondimenti vi verrà voglia di lasciar perdere e di proseguire unicamente l’avventura principale.
A tal proposito, va fatta una parentesi relativa alla costruzione del mondo di gioco dal punto di vista artistico: anche in questo caso, il titolo pecca in maniera abbastanza importante di ispirazione nella concettualizzazione estetica di ambienti, personaggi e nemici, che alterna la vegetazione locale corrotta a elementi di tecnologia avanzata come laboratori, robot e macchinari elettronici, in un mix di stili che abbiamo onestamente trovato fin troppo caotico e pasticciato.
Gameplay e combat system
Dal punto di vista ludico, Awaken si propone come un metroidvania bidimensionale dalla struttura classica, basato su due componenti chiave, il combattimento ed il sistema di movimento.
Partendo dal primo, avremo a disposizione un totale di tre armi che sbloccheremo avanzando nell’avventura, ognuna con un proprio moveset, velocità e raggio di attacco: una volta completata una certa sequenza di attacchi leggeri, potremo eseguire una mossa extra tramite un apposito tasto, la quale utilità e potenza andranno a variare in base al numero di colpi inflitti prima della sua attivazione.
Tra lunghi affondi, uppercat che sollevano in aria il nemico, ampi squarci e schianti a terra, toccherà a noi imparare ad utilizzare la giusta combinazione da utilizzare in base all’occorrenza, cercando poi di concatenare le mosse di terra con quelle aree per sfruttare ogni strumento e ottenere la massima efficienza.
In tal senso, va sottolineata la presenza di quella che è, a nostro avviso, la meccanica più interessante dell’intera produzione: per farla breve, dopo aver eseguito una certa sequenza di attacchi base con un’arma, potremo attivare la mossa speciale delle altre direzionando la levetta verso l’alto, verso il basso o verso i lati.
Questo permette di avere sempre a disposizione l’intero moveset relativo agli attacchi conclusivi delle combo anche delle armi non equipaggiate in quel momento.
Inoltre, anche il cambio dell’arma equipaggiata sarà praticamente istantaneo, il che permette di eseguire con rapidità anche gli attacchi più semplici, oltre che le combo più elaborate.
Ovviamente, non mancheranno le manovre difensive ed evasive, dato che grazie al parry potremo bloccare i colpi dei nemici per poi contrattaccare con un attacco pesante, mentre eseguendo una schivata perfetta rallenteremo per qualche secondo i loro movimenti.
Tutto questo ciclo di azioni rappresenta quello che è senza dubbio il punto forte dell’opera.
Seppur possano inizialmente esser difficili da controllare, una volta compresi i sistemi di combo e le meccaniche relative al cambio d’arma, il combattimento diventa quasi quello di uno stylish action, risultando rapido, spettacolare e soddisfacente, specialmente dopo aver ottenuto tutte e tre le armi e, magari, alcuni dei potenziamenti passivi.
Purtroppo, va detto che le minacce che ci ritroveremo ad affrontare non rappresentano un contrasto abbastanza elaborato da rendere gli scontri effettivamente dinamici ed impegnativi.
Oltre ad una ripetizione a dir poco estenuante di molte delle unità base, i nemici saranno praticamente dei ceppi, in tutti i sensi: questi non proveranno mai a difendersi, ad evitare i nostri attacchi o a reagire in modi particolari alle nostre azioni, bensì si limiteranno ad eseguire sempre le stesse mosse offensive con una pesantezza ed una lentezza che in alcuni casi fa davvero cascare le braccia.
Ancora peggio, ogni loro attacco, se andato a segno, vi stordirà e/o vi butterà a terra, in un metodo di compensazione della difficoltà che abbiamo trovato a dir poco ingenuo e frustrante, che svaluta gratuitamente quel senso di dinamicità causato dal piacevole e reattivo sistema di controllo.
Si crea quindi una strana dissonanza tra le logiche di combattimento pad alla mano e le routine comportamentali dei nemici, che sfasa e destabilizza il ritmo degli scontri.
Questo si riflette anche nell’esperienza delle bossfights, che andranno a presentare dei “punti critici” in parti del corpo sopraelevate e spesso e volentieri scomode da raggiungere, il che non fa altro che diluire la lunghezza di battaglie che, tra l’altro, non sono mai chissà quanto epiche, spettacolari od originali.
Componente esplorativa e platform
Purtroppo, il gioco è generalmente ricoperto di ingenuità di sviluppo del genere anche in quella che è la componente esplorativa e, di conseguenza, le meccaniche platform.
Seppur vada riconosciuto anche in questo caso una certa piacevolezza nei controlli dei movimenti, a livello di struttura delle mappe e level design il gioco pecca gravemente di creatività.
In tal senso va in molti casi a riproporre formule, sfide e schemi di avanzamento presi di peso da altri titoli simili, come ad esempio le fughe al cardiopalma della serie Ori o il Palazzo Bianco di Hollow Knight ma risultando però estremamente più goffe, anonime e scariche di tensione.
Al contempo, nelle fase d’esplorazione più “tranquille” va menzionato un posizionamento estremamente banale e generico di quelli che sono gli elementi dello scenario relativi al movimento, come piattaforme, appigli, basi di rimbalzo e altri tratti di terreno ma anche di trappole e ostacoli vari, che sono semplicemente sparsi qua e là in maniera frettolosa e disconnessa.
Che poi, a dirla tutta, non si è nemmeno particolarmente stimolati ad esplorare ogni angolo del mondo di gioco, in quanto le relative ricompense non sono mai così interessanti, in quanto si limitano a farci ottenere più etere, qualche punto salute o pozione curativa aggiuntiva e davvero poco altro.
A tal proposito, anche i sistemi di progressione non fanno sicuramente gridare al miracolo: i potenziamenti delle armi, i miglioramenti passivi dell’albero delle abilità e gli oggetti equipaggiabili non fanno altro che fornire vantaggi parametrici o effetti secondari abbastanza piatti, che non permettono in alcun caso di creare build particolari e non intaccano l’approccio al gameplay.
Comparto artistico e sonoro
Dal punto di vista tecnico, invece, il titolo è una costante altalena qualitativa, soprattutto visivamente parlando: infatti, se alcune ambientazioni andranno a proporre disegni, colori e soluzioni visive d’impatto e ben definite, altre avranno un background curiosamente vuoto e talmente privo di dettaglio da sembrare quasi sfocato.
Anche le animazioni, oltre a non esser particolarmente piacevoli da vedere, rivelano tutta una serie di piccole imprecisioni tecniche relative non solo agli impatti e alle hitbox in generale e anche alla presenza di strani muri invisibili, geodata approssimativi e persino di movimenti di telecamera maldestri, che in molti casi non riescono a seguire correttamente il personaggio.
Decisamente meglio invece la colonna sonora, in particolare quella ambient, in grado di proporre una ricorrenza di temi musicali gradevoli e tutto sommato adatti a quel genere di atmosfera.
Ringraziamo Dark Pigeon Games per averci fornito una chiave del gioco per realizzare questa recensione.
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