Cosa c’è peggio di un videogioco horror che non fa paura? Forse la risposta perfetta a questa domanda può darcela proprio White Day: A Labyrinth Named School, un survival horror coreano che, sbarcato in occidente l’11 marzo 2017 prima su mobile e solo successivamente su Steam e console, ha fatto emergere fin da subito forti opinioni contrastanti.
Sebbene il titolo sia stato oggetto di numerosi aggiornamenti per risolvere bug e ripulire meccaniche di gioco inizialmente traballanti, la domanda rimane: saranno davvero bastati questi interventi per trasformarlo in un’opera che possa risultare ad oggi valida?
Immergiamoci quindi nella versione per Nintendo Switch con l’intento di scoprire se White Day riesce a offrire la terrificante esperienza immersiva nella cultura asiatica che sembra promettere, tra storie di fantasmi e psicopatici, o se invece rimane intrappolato in un labirinto di ambizioni inespresse.
TRAMA
Lee Hee-Min è il classico stereotipo del nuovo studente asiatico appena trasferito, solo e senza amici, che non tarda a sviluppare una cotta per una delle ragazze più affascinanti e popolari della scuola.
E, quando lei si dimentica il diario su una panchina, il nostro protagonista si pone l’obbiettivo di riconsegnarglielo per fare colpo e sorprenderla in occasione del White Day, la famosa festività in cui sono i ragazzi a regalare dolci alle ragazze (in contrasto con San Valentino, dove nella cultura asiatica avviene il contrario).
Convinto che questo gesto romantico possa essere la chiave per attirarne l’attenzione, il nostro protagonista decide di intrufolarsi nella scuola la sera prima del fatidico giorno, pronto a lasciare una scatola di cioccolatini e il diario smarrito sul banco della giovane.
Dopotutto, cosa potrebbe mai andare storto? Eppure, Lee scopre rapidamente che l’edificio scolastico ha in serbo per lui molto più che una semplice avventura romantica: una schiera di spettri inquieti e pericolosi cominceranno a perseguitarlo, chiudendolo all’interno della struttura, mentre un bidello evidentemente in preda alla follia lo inseguirà, pronto a brandire la sua mazza contro chiunque osi invadere i corridoi durante la notte.
Fortunatamente per noi, e sfortunatamente per loro, non saremo gli unici a vagare nell’oscurità delle aule deserte alla ricerca di una via di fuga, con altre studentesse presenti che incroceranno il nostro cammino, tra cui la stessa Han So-Yeong (la ragazza di cui siamo innamorati).
Sarà proprio lei, più di ogni altra, a guidarci lungo i claustrofobici corridoi, mentre insieme cercheremo di svelare gli oscuri segreti che si celano in questa notte di terrore.
La trama si dipana in modo intrigante spingendoci a voler scoprire sempre più cosa si nasconde dietro la follia degli eventi in corso, anche se dobbiamo ammettere che a tratti inciampa in colpi di scena prevedibili e dettagli narrativi che appaiono ben più banali di quanto il gioco vorrebbe.
Tuttavia riesce comunque a mantenere l’attenzione sempre alta, grazie anche ad una serie di note e bigliettini carichi di dicerie, storie di fantasmi e spunti di trama disseminati ovunque, che aggiungono un tocco di autentico folclore horror coreano all’intera esperienza.
L’elemento narrativo più affascinante è però senza dubbio rappresentato dalle numerose scelte multiple che ci vengono offerte nei panni di Lee Hee-Min, permettendoci di plasmare il suo carattere nel corso dell’avventura: sarà un ragazzo dal cuore gentile o un cinico sospettoso?
Sebbene molte delle opzioni di dialogo non sembrino inizialmente avere chissà quale impatto significativo, queste ci porteranno verso uno dei 10 finali possibili, ognuno con eventi e situazioni uniche modellate dal nostro percorso.
È un sistema che sfrutta al massimo il potenziale narrativo del gioco, trasformando la tipica esperienza da survival horror in qualcosa di molto più personale, e rendendo ogni playthrough un viaggio unico che ci spinge a voler rigiocare dall’inizio per esplorare le diverse sfaccettature della storia.
GAMEPLAY
Se dal versante narrativo White Day: A Labyrinth Named School offre effettivamente qualche spunto positivo, il gameplay si rivela invece un mix di idee potenzialmente interessanti ma eseguite in modo talmente disastroso da generare non solo noia, ma una continua e logorante frustrazione.
Ma procediamo con ordine: il gioco si presenta come un classico survival horror in prima persona dove dobbiamo orientarci nell’oscurità con la flebile luce di un accendino, risolvendo enigmi per raccogliere chiavi e aprire così nuove aree.
Ma tra noi e l’uscita si aggira il bidello, una figura che incarna tutto ciò che può andare storto in un’esperienza horror, trasformandosi nel nemico numero uno di qualunque giocatore speri di avere una sessione di gioco anche solo un minimo godibile.
Se vi sembra un’esagerazione, in realtà, basta fare una breve ricerca tra le recensioni di Steam per vedere quanto questo sentimento sia condiviso, con persino i commenti positivi che finiscono per criticare questa figura che di inquietante ha ben poco, mentre di snervante invece ha tutto.
Ma cosa rende questa presenza così tanto insopportabile? Semplice: si aggira per ogni stanza del gioco, pronto a rincorrerci con un’aggressività talmente implacabile che, appena ci scorge da lontano, ci colpirà con uno degli “aggro” più lunghi e tenaci che si possano immaginare.
Non si può combattere ma solo scappare, sperando di trovare un bagno dove infilarsi abbastanza velocemente per non essere visti.
Eppure il peggio non finisce qui dato che, anche una volta perse le nostre tracce, il bidello continuerà a pattugliare la stessa zona cercandoci per intere decine di minuti. Se avevate intenzione di giocare con il vostro videogioco vi dobbiamo purtroppo deludere, in quanto che quello che farete davvero sarà prendere in mano il cellulare per distrarvi con altro, mentre aspettate che il suo irritante fischiettio finalmente si affievolisca.
A peggiorare il tutto si aggiungono pochi nascondigli disponibili e una velocità del custode che è appena inferiore alla nostra, trovandoci spesso a preferire di farci catturare per ripartire dall’ultimo checkpoint, piuttosto che perdere minuti preziosi in interminabili e tediosi inseguimenti senza senso.
Come se non bastasse, non abbiamo alcun modo di sbirciare oltre la porta per controllare se il pericolo è svanito, e l’indicatore che dovrebbe avvertirci della sua presenza (visibile solo nelle difficoltà più basse) è troppo vago per essere utile.
Ebbene, questa ripetitiva fuga negli stretti corridoi della scuola rappresenta circa l’80% dell’esperienza offerta da White Day, allungando il brodo di un gioco che senza questa costante interruzione durerebbe meno della metà delle ore che offre.
La frustrazione è tale che esiste persino una mod per rimuoverlo completamente nella versione PC (migliorando notevolmente l’intero gioco), un “lusso” purtroppo non disponibile su Switch e altre console, condannandoci invece a un’esperienza che di horror ha ben poco, e che trasforma una potenziale fuga nel paranormale in una corsa contro la pazienza del giocatore.
Come ignorare inoltre la presenza di un sistema di salvataggi a numero limitato, in chiaro omaggio ai grandi survival horror del passato, che se tuttavia in titoli come Resident Evil poteva anche funzionare riuscendo ad alimentare la tensione, in White Day diventa una fonte infinita di sospiri esasperati e ragequit.
Infatti, la facilità con cui si può morire e la frequenza degli inseguimenti obbligano i giocatori a ripetere lunghe sezioni di gioco ogni singola volta.
I salvataggi sono possibili solo in punti specifici e richiedono l’uso di pennarelli difficili da individuare nell’ambiente, e non sarà quindi raro ritrovarsi a vagare per lunghi tratti senza averne nemmeno uno in tasca, costretti a sessioni di gioco rischiose e prolungate senza poter salvare.
A complicare il tutto, non esiste una vera e propria “stanza sicura” in cui poter riprendere fiato, portando a situazioni scomode in cui potremo erroneamente sovrascrivere i dati in luoghi dove nei paraggi si aggira il bidello, conducendoci così al rischio di softlock.
ENIGMI E PUZZLE
Se il sistema di inseguimenti è senza dubbio il punto più debole del gameplay, ci si potrebbe almeno aspettare che White Day si riscatti con i suoi enigmi, giusto? Ebbene, sebbene riconosciamo che alcuni rompicapi risultano gradevoli e invitano a riflettere sull’ambiente circostante, anche qui l’esperienza risente di scelte che appesantiscono il gioco anziché arricchirlo.
I puzzle, infatti, sono spesso tanto criptici da sfiorare l’esasperazione e, se da una parte è apprezzabile che il gioco non guidi eccessivamente dandoci la soluzione sotto il naso e spingendoci invece a ragionare da soli, in questo caso l’approccio risulta fin troppo rigido.
La maggior parte degli enigmi richiede di trovare bigliettini sparsi per l’intera scuola, a volte in stanze e piani completamente distanti dal punto d’origine del rompicapo.
In altri casi bisogna invece semplicemente pensare fuori dagli schemi o, più frequentemente, provare alla cieca nella speranza di avere intuito il collegamento giusto: per darvi un’idea, un puzzle in particolare richiede addirittura la conoscenza di ideogrammi per essere risolto.
A peggiorare le cose, molti enigmi non si possono completare finché non si legge un determinato documento, portando a situazioni frustranti in cui magari capiamo pure come proseguire, ma siamo bloccati perché non abbiamo ancora letto il bigliettino “giusto.”
L’insieme di questi aspetti, combinato alla presenza costante del bidello, contribuisce a una difficoltà artificiale che soffoca completamente qualsiasi senso di sfida genuina.
SCONTRI CONTRO BOSS
A movimentare l’esperienza di White Day ci sono anche i combattimenti contro i boss, che introducono un brivido di sfida paranormale in cui affrontiamo creature spettrali in corse contro il tempo: qui abbiamo solo pochi minuti per completare azioni specifiche prima che il timer si esaurisca.
Questi momenti si sono rilevati i più godibili del nostro provato, permettendoci (finalmente) di esplorare la scuola senza la minaccia del bidello, in modo da poterci concentrare solo sull’adrenalina dello scontro.
Inoltre, i puzzle da completare per sconfiggere i boss non sono particolarmente complessi, a patto di aver letto i biglietti che indicano esattamente cosa fare.
Concluso il procedimento, ci attende un veloce Quick Time Event (QTE), in cui premere rapidamente i tasti indicati sullo schermo che, pur essendo semplici e con un margine d’errore abbastanza generoso, aggiungono quel pizzico di azione di cui questo gioco tanto necessita.
Purtroppo, però, questa piacevole deviazione viene offuscata dalla macchinosità dei comandi, che mal si sposano con la fluidità richiesta da queste battaglie, risultando in qualche frustrante inceppo che spezza il ritmo e mina l’impatto complessivo di uno dei pochi elementi coinvolgenti del titolo.
ATMOSFERA HORROR
L’atmosfera è uno di quegli aspetti che difficilmente delude nei giochi horror asiatici, e anche in White Day non manca di impressionare: la scuola, con i suoi lunghi corridoi bui e le sue aule deserte, si rivela ancora una volta il teatro ideale per una storia dell’orrore.
L’ambientazione riesce a trasmettere angoscia per gran parte del gioco, offrendo momenti di pura ansia che sono tra i più riusciti dell’esperienza.
Questo elemento rappresenta sicuramente uno dei punti forti del titolo con jumpscare ben posizionati e calibrati, anche se alcuni più prevedibili di altri, che creano un costante stato di tensione.
Purtroppo, una scelta di design inspiegabile penalizza l’esperienza a difficoltà medio-bassa, poiché tutti i jumpscare vengono rimossi al di sotto della modalità “difficile”, scelta che priva i giocatori di uno degli elementi horror migliori del gioco.
Allo stesso tempo, affrontare White Day a difficoltà elevata significa però accettare un livello di sfida estremo. Oltre ai jumpscare, infatti, questa modalità aumenta l’efficacia dei sensi del bidello, che diventa capace di scovarci a distanze assurde e aumentando a dismisura la frequenza degli inseguimenti.
Così, i giocatori sono costretti a scegliere tra un’esperienza horror depotenziata o una completamente sbilanciata e snervante, riducendo l’accessibilità del titolo e mettendo a dura prova anche i più appassionati del genere.
COMPARTO GRAFICO E SONORO
Dal punto di vista grafico, White Day: A Labyrinth Named School sicuramente non brilla particolarmente, con ambienti spogli ed essenziali, dei modelli con qualità altalenante, e una illuminazione ridotta al minimo indispensabile per creare l’atmosfera.
Sebbene il risultato non sia esattamente sgradevole, resta evidente la sua origine come gioco mobile, incapace di competere visivamente con titoli di maggior impatto.
Particolarmente penalizzati risultano i modelli maschili, come il protagonista e il bidello, meno curati rispetto alle figure femminili che sembrano invece ricevere maggiore attenzione con dettagli più rifiniti e un’espressività più convincente.
Dove il gioco scivola ancora di più è invece sul lato sonoro, con una soundtrack che definiremmo sicuramente memorabile, ma per le ragioni sbagliate: molti brani risultano assordanti e poco piacevoli da ascoltare, interrompendo l’atmosfera più che enfatizzarla.
Anche il sound design stesso è difficile da apprezzare, con effetti sonori ripetitivi e talmente forti da disturbare sia durante i dialoghi che nelle fasi di esplorazione, minando notevolmente l’immersività del gioco.
Ringraziamo Keymailer per averci fornito una chiave del gioco per realizzare questa recensione.
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