Negli ultimi anni, il numero di media che hanno fatto dei lavori di Howard Phillips Lovecraft il loro punto di riferimento è un dato in continua crescita: basti pensare a giochi come Dredge, Bloodborne o persino Edge of Sanity (a proposito, trovate la nostra recensione qui) che, nei contenuti o nell’estetica, prendono ispirazione dalle opere dello scrittore statunitense.
Ma, se da una parte il gioco trae forte ispirazione dalle opere lovecraftiane, è innegabile notare come anche Hollow Knight sia stato un punto fermo durante la realizzazione di questo titolo. Il feeling di alcuni elementi di gameplay e lo stile grafico di diverse zone non ha potuto fare a meno di ricordarci del capolavoro di Team Cherry, che a distanza di anni continua a ispirare sempre più prodotti in questo settore.
Un connubio tra due elementi superlativi che prende vita sotto forma di Metroidvania 2D: il lavoro di Powersnake sarà stato sufficiente per garantire a noi giocatori un prodotto godibile da ogni punto di vista?
Il risveglio dell’involucro
In Voidwrought veniamo proiettati in un mondo sconvolto dall’arrivo di una Red Star, una catastrofe che ha innescato a sua volta una serie di eventi apocalittici, i quali portarono alla caduta della Prima Civiltà. L’incipit narrativo ci presenta le basi del mondo di gioco, spiegando a grandi linee gli avvenimenti precedenti al risveglio del nostro protagonista, il Simulacro, una sorta di contenitore vuoto il cui compito sarà quello di raccogliere l’Ichor, un’essenza divina ormai corrotta.
Questo è solamente ciò che possiamo intuire dalle prime battute di gioco, poiché un quadro più completo della lore è ottenibile con la naturale esplorazione e progressione della storia, attraverso la lettura di pagine di giornale, monoliti e descrizioni di oggetti o abilità. Non aspettatevi perciò di capire da subito la trama completa, in quanto il titolo risulta molto criptico e implicito, ricordando parecchio lo stile narrativo di From Software.
Man mano che avanzeremo nella nostra avventura, infatti, avremo modo di scoprire i motivi che hanno portato alla caduta della civiltà antica, la natura della Red Star e il vero scopo per cui il Simulacro è stato creato. Inoltre, grazie al sangue degli dei che raccoglieremo, il nostro personaggio diventerà sempre più forte, sbloccando nuove abilità, ricostruendo il proprio Tempio e arrivando a ristabilire l’equilibrio del cosmo.
Elementi di Gameplay
Trattandosi di un metroidvania, sappiamo benissimo che il gameplay ha il dovere di essere il punto cardine dell’intero organico, capace di unire i reparti di combattimento, esplorazione e puzzle-solving. Elementi che, ovviamente, ritroviamo anche in questo titolo, il quale rimane fedele al genere proponendo una formula classica, con power up da sbloccare, parecchie zone da esplorare e numerosi angoli segreti con dei collezionabili nascosti, per la gioia dei completisti.
Le artigliate non bastano
In Voidwrought, la funzione d’attacco è resa possibile grazie all’ausilio del nostro braccio, che ci permetterà di sferrare poderose artigliate per far fuori tutto ciò che si porrà dinanzi al nostro cammino. Ad arricchire il nostro arsenale troviamo le Relics, antichi artefatti che ci consentiranno di usare potenti magie e attacchi, permettendoci in questo modo di personalizzare il nostro stile di gioco. Spade spettrali, onde d’urto e laser sono solo alcuni degli esempi di ciò a cui potremmo ricorrere per eliminare i nemici, a patto di essere disposti a esplorare minuziosamente la mappa per trovare queste preziose risorse.
Ma le Relics non sono gli unici modi a disposizione per rendere più unico il nostro stile di gioco, visto che il team di sviluppo ha ben pensato di inserire le Souls, le quali possono essere paragonate agli amuleti di Hollow Knight. “Le anime persistenti di coloro che vagano per la Gray City possono essere evocate per conferire al Simulacro dei buff passivi”, o almeno è quello che ci viene detto in-game, poiché in realtà non necessitano di nessuna evocazione e basta equipaggiarle per ottenerne fin da subito gli effetti citati.
Con 3 slot equipaggiabili e ben 28 diverse Souls tra cui scegliere, saranno innumerevoli le possibilità che potremo ottenere combinando le diverse anime, in modo da riuscire a creare la build che più si avvicina ai nostri gusti. Da un semplice aumento della barra vita, fino all’evocazione di spiriti in grado di individuare e attaccare automaticamente i nemici, questo è solo un esempio dei poteri su cui potremo mettere le mani in Voidwrought.
Tuttavia, non è tutto oro ciò che luccica, perché se da una parte abbiamo parlato di una presunta varietà nel gameplay, in realtà esso non risulta poi così profondo.
Mentiremmo nel non ammettere che spesso ci siamo limitati a spammare il tasto dell’attacco leggero per oltrepassare qualsiasi nemico, rendendo un po’ ripetitive le fasi di combattimento. Inoltre, abbiamo notato che il livello di sfida proposto dal titolo è pressoché inesistente: i mob non rappresentano una minaccia e i boss sono davvero troppo facili per essere definiti tali. Pur essendo tutti ben caratterizzati e diversi tra di loro, sia in estetica che in gameplay, i nemici principali non rappresentano nessuna sfida e possono essere battuti al primo tentativo anche da un neofita. Un vero peccato a nostro parere, perché sarebbe bastato veramente poco per attribuire a questo progetto una curva di difficoltà tale da farci sentire quantomeno appagati per aver sconfitto i numerosi boss che incontriamo durante la nostra avventura.
Esplorando la Gray City
Se il gameplay può venir considerato da alcuni una componente blanda, la costruzione del mondo di gioco invece rispecchia pienamente i principi di ciò che dovrebbe essere un metroidvania: vaste zone interconnesse, tra le quali ci si può destreggiare abilmente grazie a delle abilità di movimento che rendono il gioco fluido e veramente godibile, in particolare per merito di un sistema di teletrasporto sbloccabile nelle prime fasi di gioco. L’esplorazione in Voidwrought è ciò che ci ha pienamente convinti, tenendoci incollati allo schermo fino a che non siamo riusciti a rivelare l’ultimo angolo di mappa. Tra power up, Souls, Relics, Followers e collezionabili, la Gray City è ricolma di segreti e cunicoli che non si scordano mai di ricompensare noi utenti, in un modo o nell’altro.
A condurre la nostra scoperta troviamo un sistema di abilità di movimento, le quali ci aiutano a capire se una data strada potrebbe rivelarsi quella giusta per avanzare, o in alternativa se è il caso di tornarci una seconda volta per fare backtracking e scoprire nuove aree. Tali skill non sono rese disponibili solamente in seguito alla vittoria contro un boss, ma sono in gran parte reperibili esplorando approfonditamente la mappa o persino espandendo il Tempio tramite le richieste dello Shrine Keeper, soddisfabili grazie al raduno dei diversi Followers sparsi per la mappa.
Non essendoci un ordine predefinito delle zone da visitare, viene lasciata piena libertà decisionale sul percorso da intraprendere e selezionare quale via percorrere è una scelta che spetta solo a noi giocatori. Tuttavia, la completa assenza di indicatori di missione rende l’esperienza talvolta frustrante, in quanto il gioco non indica mai dove andare con precisione, limitandosi a suggerirlo tramite frasi implicite pronunciate una sola volta da NPC (From Software docet).
Per gran parte del tempo ci siamo ritrovati a dover andare a tentativi, ma fortunatamente, grazie alla mappa e ai Marks che vi è possibile applicare, siamo riusciti a trovare la via piuttosto rapidamente. Avremmo comunque gradito quantomeno la presenza un NPC in grado di ricordarci il nostro obiettivo, magari proprio nel Tempio, nel quale facevamo periodicamente ritorno nella speranza di trovare indizi su come procedere.
Ci sembra comunque doveroso evidenziare che il game over non attribuisce nessuna penalità al Simulacro, in quanto alla nostra morte non perderemo nessuna delle risorse accumulate e torneremo all’ultimo Void Gate visitato. Ciò consente un’esplorazione del mondo di gioco molto più rapida e strategica, specie perché non dovremo mai preoccuparci di dover ritornare nel punto preciso della nostra morte per recuperare l’Ichor.
Comparto Artistico e Tecnico
La punta di diamante dell’opera, a nostra discrezione, è la direzione artistica che, pur non celando il continuo rimando all’opera di Team Cherry, riesce a distinguersi con uno stile peculiare, interamente disegnato a mano. Ciascuna area di gioco è caratterizzata da diversi colori e elementi di scena, i quali attribuiscono a ognuna di queste la propria identità: dalla lussureggiante e sfarzosa Court ai tunnel di ghiaccio delle Old Water, dalla decadente Abandoned Expedition fino alla post-apocalittica Surface, ogni zona riesce a conferire al giocatore un’esperienza diversa e variegata. Non manca ovviamente lo stile lovecraftiano, che ritroviamo nel design dei nemici, ispirati dai tipici orrori cosmici ritrovabili nelle opere dello scrittore, come menzionato anche durante l’introduzione.
Valevole di menzione anche la soundtrack, interamente composta dal finlandese Jouni Valijakka, con brani ad hoc per ogni situazione. Dalle calme tracce ambient che si adattano all’esplorazione, fino ad arrivare a quelle più frenetiche che accompagnano i nostri scontri coi boss, la OST di Voidwrought è un vero e proprio fiore all’occhiello, che si sposa perfettamente con l’art style precedentemente menzionato.
Sul comparto tecnico c’è veramente poco da dire, se non qualcosa da lodare. Nel corso di tutta la nostra prova, ci siamo imbattuti solamente in due bug, i quali ci hanno costretto a riavviare il client di gioco, senza però inficiare eccessivamente nell’esperienza.
Per quanto riguarda le performance, possiamo dire che il gioco è fluido e poco esigente in termini di risorse: 60FPS fissi su Steam Deck OLED con dettagli al massimo, configurazione che ci ha consentito di ottenere circa 6.5 ore di gameplay ininterrotto prima di esaurire una carica completa.
Voidwrought è disponibile su Steam e Nintendo Switch.
Ringraziamo Pressengine per averci fornito una chiave del gioco per realizzare questa recensione.
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