La storia del videogioco è costellata di console fallimentari che non sono riuscite a catturare l’attenzione del pubblico per i più svariati motivi, ma non per questo vanno necessariamente dimenticate, soprattutto quando su di esse sono comunque approdati grandi titoli. Quando si parla di insuccessi commerciali ci vengono subito in mente il Dreamcast, la Wii U e la PlayStation Vita. Su quest’ultima sono usciti una miriade di ottimi titoli che vengono spesso ingiustamente trascurati, come ad esempio Gravity Rush, Tearaway e, il protagonista della recensione di oggi, Freedom Wars.
Con la nuova remastered dell’action RPG di Dimps (Dragon Ball Xenoverse) e Japan Studio (Shadow of the Colossus, Gravity Rush) il titolo ha avuto l’occasione di uscire dal blocco imposto dalla sua console per essere finalmente giocabile su console odierne.
Riusciremo a scontare i nostri anni di pena e a non essere uccisi dai Rapitori?
Scopriamolo insieme!
Trama
Freedom wars ci catapulta in un mondo ostile e opprimente, dove anche la più semplice delle azioni come camminare verrà severamente punita. Infatti, per via dell’impossibilità di vivere sulla superficie terrestre, il mondo intero è stato diviso in varie aree, dette Panopticon, che ospitano gli ultimi esseri umani in vita. Questi sono però in guerra tra loro per l’ottenimento di risorse atte alla sopravvivenza degli umani che vi abitano all’interno, dal momento che ormai scarseggiano.
La maggior parte della popolazione dei Panopticon è costituita dai Peccatori, dei moderni schiavi che sin dalla loro nascita sono obbligati a dover scontare una pena di 1.000.000 di anni e a dover prendere parte a complesse missioni per uccidere i Rapitori, temibili mostri che minacciano l’umanità, questo solo per aver commesso il crimine di essere nati.
Vestiremo i panni di uno dei tanti peccatori che, risvegliatosi, scopre di aver completamente perso la memoria, un crimine imperdonabile nel Panopticon. Infatti, per il disturbo che arrecheremo, verrà ripristinata da zero la nostra pena finora scontata.
Tuttavia, dormendo faremo la conoscenza di Aries, una misteriosa ragazzina che, d’ora in poi, apparirà nei nostri sogni e ci dirà che abbiamo un compito: realizzare la grande trasformazione ponendo fine alla disperazione umana.
La narrativa di Freedom wars si focalizza principalmente nel suo world-building decisamente ben realizzato, ma che tuttavia non lascia spazio ad ulteriori spunti interessanti.
Contrapposto al buon incipit della storia, i personaggi che incontreremo nel corso della nostra avventura incarneranno tutti gli stereotipi dei personaggi degli anime, presentandoci i tipici archetipi blandi che ci aspetteremmo di vedere in quest’ultimi.
Gameplay
Il titolo riprende in gran parte la formula di Monster Hunter: proseguendo con la trama ci verranno affidate determinate missioni in cui dovremo principalmente uccidere grandi mostri che rapiscono esseri umani. Per eliminarli avremo a disposizione armi corpo a corpo, armi da fuoco e il nostro rovo.
Il rovo è un oggetto simile a una frusta che funzionerà pressoché come un rampino, permettendoci di attaccarci alla maggior parte delle superfici, sui Peccatori e anche di stordire per poco tempo questi ultimi, dandoci un leggero vantaggio in battaglia.
Nel titolo è presente una grande varietà di armi sia corpo a corpo sia da fuoco, ma nonostante ciò ci ritroveremo per la maggior parte del tempo a sfruttare il medesimo armamentario, anche grazie alla possibilità di potenziare ulteriormente ogni arma utilizzando gli oggetti raccolti durante le missioni.
Oltre alle missioni in cui dovremo uccidere i Rapitori, ce ne saranno anche altre in cui dovremo soccorrere civili, raccogliere oggetti o eliminare altri umani ostili, contribuendo alla varietà del titolo.
Tuttavia, la diversità delle missioni non riuscirà a nascondere al giocatore la ripetitività dei nemici e, soprattutto, delle ambientazioni. Nel corso dell’avventura, infatti, ci verranno presentati solo due tipi di mappe, con un numero altrettanto esiguo di nemici, che finiranno inevitabilmente per annoiarci.
Avanzando nella storia ci ritroveremo anche ad esplorare i Giardini: piccole zone presenti in ogni livello che dovremo attraversare per proseguire nella trama. Strutturalmente si presentano come una serie di stanze contenenti nemici che dovremo uccidere o evitare per non fallire la missione.
In entrambi i casi, queste sezioni risulteranno spesso troppo lunghe o monotone, poiché ci troveremo ad affrontare i medesimi nemici delle missioni principali, ma in un contesto diverso, rendendo queste parti blande e poco ispirate.
Per la maggior parte del tempo ci ritroveremo a muoverci nel labirinto, hub del gioco e centro principale degli eventi della nostra storia. Qui saranno presenti due negozi, oltre a numerosi NPC con cui potremo parlare e scambiare oggetti.
Pur fornendoci tutto ciò di cui avremo bisogno per la nostra avventura, due “negozi” risultano troppo pochi, e anche il resto dell’area finisce per sembrare piuttosto povero di contenuti.
Nella nostra esperienza l’aspetto sicuramente più fastidioso del titolo è la spropositata quantità di tutorial.
Nelle prime fasi del gioco, infatti, verremo tempestati di informazioni per qualsiasi azione, ma spesso e volentieri queste saranno quasi del tutto opzionali e sicuramente non della rilevanza che il titolo sembra attribuirgli, considerando che anche azioni semplici, come parlare, avranno tre o quattro pagine di spiegazioni.
Un altro fattore piuttosto seccante è la questione delle trasgressioni. Durante le prime ore di gioco, infatti, avremo la possibilità di fare ben poche cose, poiché azioni come camminare, sdraiarsi o parlare con il nostro androide non ci saranno concesse fino a quando non le sbloccheremo. Nel caso in cui ci capitasse di fare qualcosa di proibito, verremo ammoniti e ci saranno aggiunti anni di pena che possono variare dai 10 ai 100 anni.
Questa meccanica, sebbene aumenti l’immersività nel mondo di gioco, diventerà presto noiosa, poiché finirà per interromperci numerose volte durante il gameplay.
Comparto artistico e tecnico
Il comparto artistico del titolo non è tra i più ispirati, adottando uno stile anime alquanto generico ma che riesce comunque a farsi valere sotto altri aspetti.
Un esempio è il design dei mostri e degli ambienti che, nonostante siano pochi, risulta molto creativo e riesce a mettere in evidenza il contesto distopico.
Un altro punto a favore è il peculiare design dei vestiti: ogni capo sbloccabile per il nostro protagonista e quelli indossati dagli altri personaggi presentano design molto curati e variegati, spaziando dallo stile goth a quello cybercore tipico dei primi anni 2000.
Quanto al comparto tecnico, questo rappresenta sicuramente la nota dolente del titolo.
Nonostante venga presentato come una remastered del gioco uscito per PS Vita nel 2014, le differenze tra l’originale e il nuovo sono praticamente nulle. Tralasciando il miglioramento della risoluzione e l’aggiunta dei 60 FPS, il titolo non offre ulteriori migliorie o aggiunte di alcun tipo.
Per tutta la durata del gioco non abbiamo riscontrato problemi tecnici di alcun genere, offrendo un’esperienza stabile e priva di inconvenienti.
Ringraziamo Bandai Namco per averci fornito una chiave del gioco per realizzare questa recensione.
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