Recensione Final Fantasy VII REBIRTH – Il viaggio continua su PC!

Data di uscita
Gennaio 23, 2025
Piattaforme
PC, Playstation 5
Sviluppatore ed editore
Square Enix

Nella vasta e tortuosa storia dei videogiochi, pochi brand possono vantarsi di aver avuto un impatto tale da poter troneggiare fra le vere e proprie leggende dell’industria.

Uno di questi, senz’ombra di dubbio, è Final Fantasy, che negli ultimi anni ha saputo sfamare i propri fan fra titoli mainline, espansioni, spinoff e remake.

L’operazione di rifacimento iniziata nell’ormai lontano 2018 con l’uscita dell’acclamatissimo Final Fantasy VII Remake è entrata di diritto fra le più riuscite e coraggiose della storia del medium, prendendo uno dei capostipiti dell’industria e frazionandolo in un’avventura moderna che non ha avuto paura di assumersi le proprie libertà creative.
Per quanto le opinioni non siano state di certo unanimi per quanto concerne la community di appassionati, non c’è alcun dubbio che l’avventura di Cloud e dei suoi compagni sia fra le più attese e desiderate dai giocatori, ed oggi siamo qui per recensire il porting del secondo capitolo su PC.

Sarà riuscita Square Enix a dare giustizia all’ultima delle sue creazioni?
Scopriamolo in questa recensione!



Narrazione e Trama

Fra volti conosciuti e… il Destino

FF7 Rebirth riprende la sua narrazione da dove il suo predecessore si era concluso, con l’aggiunta imprevista di un elemento narrativo il cui valore creativo potrebbe essere messo in discussione.
Per quanto l’introduzione di una linea temporale alternativa possa risultare interessante per distinguere il titolo e allontanarsi ulteriormente dai binari preimpostati quasi 30 anni fa, questa rimarrà perlopiù un intermezzo fra le parti della “trama che conta” in questo capitolo, quella che segue le disavventure di Cloud e dei suoi compagni in fuga dalla devastazione di Midgar.

La struttura narrativa di questo Final Fantasy è “piacevolmente convulsa”, nel senso che si prenderà spesso e volentieri la libertà di tornare indietro per approfondire eventuali mancanze o punti ciechi nel quadro generale degli eventi. Del resto parliamo di un titolo dotato di una regia riconoscibile e di grande qualità, spesso cinematografica ed epica ma non per questo meno logorroica per quanto concerne i dialoghi e le divagazioni dei personaggi.
Non è nulla di nuovo se consideriamo che il primo Remake aveva circa 9 ore di cutscenes a cui alternare le fasi di gameplay, sappiate soltanto che questo seguito non è da meno e si prenderà tranquillamente i suoi tempi nell’esposizione di world building e concetti di varia natura loristica e personale.

L’identità giapponese del progetto è, con sorpresa di nessuno, parte integrante del suo DNA. La si nota soprattutto nell’ironia costante e non particolarmente brillante che si intreccia ai momenti più drammatici senza troppo riguardo. Ad ogni modo, che la si apprezzi o meno, questa assume una certa rilevanza nel rendere i personaggi interessanti e degni del nostro affetto in quanto giocatori e protagonisti di un’avventura corale.
Nel contesto JRPG, i personaggi rappresentano gli ingredienti per il successo, e, fortunatamente, qui parliamo di un cast già estremamente consolidato di caratteri iconici con cui è molto facile entrare in sintonia.
Il team ha fatto un buon lavoro nell’espandere il carattere e il background di ciascuno, forse risultando poco incisivo soltanto nello sviluppo delle romance che passa come aspetto secondario e appena accennato.

Anche fatte queste considerazioni, che al giocatore piaccia o meno il modo in cui la moderna Square Enix sta plasmando le nuove identità dei nostri eroi, nonché l’interezza della trama di questo Final Fantasy, è un altro paio di maniche. Pare infatti che pur avendo allungato immensamente i ritmi della trama originale per costruire una trilogia, il team giapponese abbia il vizio di mostrarsi frettolosa nel rivelare le sue carte più ambite, spogliando i momenti più iconici di tutto il loro pathos.


Gameplay

Non tutto è mako quel che luccica

Parte del gameplay di FF7 Rebirth è, a grandi linee, lo stesso ibrido action-turn based (ATB) che ci aveva stregato nel 2018. Certo, i ritmi sono leggermente cambiati, e l’aggiunta del sistema di Sinergie per combinare gli attacchi con i membri del party è uno strumento in più con cui divertirsi e sperimentare. 
Ancor di più se consideriamo che la compagnia ha accolto l’aggiunta di alcune facce conosciute lungo il cammino, anch’esse dotate di specificità e vantaggi capaci di dare una nuova profondità all’aspetto tattico del gioco.

Ciò che ha subito maggiori cambiamenti è tuttavia il contorno, inteso come la struttura che fa da scheletro ai diversi elementi di gameplay e all’alternarsi delle sue fasi. Diventa quindi fondamentale analizzare le differenze fra il vecchio e il nuovo mondo di gioco, prima limitato alla sola città di Midgar ed ora esteso in lungo e largo in un arcipelago di biomi contrastanti. Se dovessimo trovare un innegabile vantaggio nonché punto di svolta rispetto al suo predecessore sarebbe proprio questo, e la varietà di ambientazioni e situazioni presenti dopo un titolo così monotematico ci ha davvero stupito.

Il combattimento e le bossfight

Non è una sorpresa, uno degli aspetti più riusciti di questa gigantesca operazione di remake si è sintetizzata nel prendere la struttura action del discusso FFXV ed unirlo ai combattimenti a turni che da sempre hanno contraddistinto i capitoli più apprezzati della saga.
In questo senso, Square Enix ha portato a termine un’operazione di svecchiamento ineccepibile, talmente ben riuscita che le effettive variazioni presenti in questo secondo capitolo sono ben poche e comunque non se ne sente la mancanza.

Gran parte del merito va alla resa cinematografica degli scontri, all’impatto eccellente dei colpi e al generale feeling adrenalinico che riesce miracolosamente a non cozzare con la scelta tattica delle abilità e dello switch ai singoli membri del party.
Il tutto subisce un deciso salto di efficacia quando ad affrontarci sono i boss, talvolta creature enormi, dalle molteplici fasi e dal moveset imprevedibilmente variegato.

Sfortunatamente, non tutti gli scontri sono bilanciati nel modo migliore, ma anche in questo caso non sarà mai nulla che non si possa risolvere con un po’ di grinding e qualche strategia improvvisata.
Uno strumento da considerare in questo caso sono i folios, un rifacimento inedito dell’albero della abilità che permette di spendere punti in nuovi attacchi, abilità sinergiche e potenziamenti passivi.
Sicuramente un miglioramento rispetto al passato ma comunque un sistema bel lontano dal rappresentare una soluzione definitiva o innovativa per il genere.

L’open world e l’esplorazione 

Era inevitabile, uscire finalmente da Midgar ha portato con sé la “necessità” di introdurre all’interno del gioco delle sequenze open world. Queste, sfortunatamente, risultano fra i punti più deboli del gioco, finendo per spezzare ingiustamente i ritmi della narrazione e annoiando i giocatori meno avventurosi.

Attraversare le diverse aree aperte del gioco non è particolarmente interessante né divertente, che sia sulla groppa di un chocobo oppure a piedi; le attività disseminate attorno alla tipica torre di FarCryana memoria appaiono alla lunga scontate e ripetitive, talvolta così tanto da risultare una scocciatura.
La stessa esplorazione degli ambienti in queste fasi diventa frustrante, che sia per game design oppure per la lentezza dei minigiochi piuttosto che per le fasi di farming necessarie per craftare pozioni e altri consumabili utili in battaglia.

Molto meno dolorosa è l’esplorazione delle sezioni lineari, che comunque nascondono una buona quantità di tesori e segreti per i giocatori più curiosi e attenti (oltre a quelli disposti a spaccare ogni scatola sul loro cammino). Non lo neghiamo, ci sono degli aspetti positivi anche in un’implementazione così basilare di un open world, e l’idea di avere dei piccoli tragitti carichi di contenuti extra tra una missione principale e la successiva non è totalmente da scartare e farà la felicità di alcuni utenti.

I minigiochi

Se dovessimo trovare un modo coerente per riassumere le nostre sensazioni circa i minigiochi presenti in Rebirth, l’espressione perfetta sarebbe il proverbiale “il troppo stroppia”. Per intenderci, il gioco ci metterà di fronte a ben 28 minigiochi, la maggior parte dei quali saranno obbligatori o parte integrante dell’andamento della trama.

Che sia chiaro, è evidente che il team di sviluppo abbia riposto una grande cura e molta passione nella creazione di queste attività secondarie, tuttavia non possiamo negare di averli trovati noiosi e frustranti una volta raggiunto un certo monte di ore. Se infatti è vero che il gioco contiene una sezione ambientata in un luna park, il resto del gioco non dovrebbe ricorrere così spesso a divagazioni ludiche che rischiano di allungare eccessivamente il brodo.

Questo, unito alla lentezza inspiegabile con cui si svolgono alcune delle sequenze che ci troveremo ad affrontare obbligatoriamente (perché mai catturare un chocobo deve essere così stancante?), compromette inevitabilmente i ritmi già lenti con cui si prosegue nel gioco.

E i contenuti?

Final Fantasy VII Rebirth, pur essendo il titolo medio di una trilogia, è assolutamente straripante di contenuti. Che siano missioni secondarie, interazioni uniche, minigiochi o segreti, il gioco non lesinerà in nessun senso ed integrerà ciascuno di questi con meccaniche sempre nuove.

C’è talmente contenuto da snocciolare in questo Final Fantasy che il giocatore completista potrebbe tranquillamente dedicarvi più di 100 ore senza trovarne una fine. Nel suo contesto, l’ultima opera di Square Enix sembra proporsi come un incredibile blockbuster, che comunque mantiene alcune caratteristiche autoriali che ne compongono un’identità irresistibile ed irripetibile nel panorama dei JRPG.


Comparto artistico e tecnico

Una vittoria per demerito degli altri

Cosa dire del comparto artistico di FF7 Rebirth? il team di sviluppo non manca di certo di estro creativo ed i design utilizzati sono meravigliosi e caratteristici tanto quanto lo erano sotto forma di una manciata di poligoni. Le ambientazioni, un misto fra una distopia industrialpunk, la modernità ed il fantasy continuano ad incantare e stavolta senza dover sottostare alle limitazioni di una singola (per quanto iconica) mappa.

Continuando un discorso prettamente artistico, impossibile non menzionare le OST a cura del leggendario Nobuo Uematsu e dei suoi colleghi, anche stavolta impeccabili nell’arduo compito di manipolare le emozioni del giocatore con tracce emozionanti e piene di impatto.
I leitmotiff entrano con estrema facilità nella mente del giocatore e una volta assaporati in tutta la loro potenza difficilmente desisterete alla tentazione di renderli un background costante delle vostre giornate.

Arriviamo infine al comparto tecnico, che tratteremo dapprima in un discorso più generale e poi nello specifico caso del porting PC del gioco.
Senza troppi giri di parole, Rebirth fa utilizzo dell’Unreal Engine 5 ed eredita di conseguenza tutti i pregi e difetti tipici del motore più in voga del momento.
Si tratta a conti fatti di uno strumento estremamente potente, molto indicato se si intende prendere la strada del “realismo” nella resa degli ambienti, delle luci e degli effetti.
Final Fantasy VII Rebirth ne sfrutta le potenzialità fino ad un certo punto, finendo per incorrere in dei limiti fastidiosi relativi alla risoluzione delle ombre e alla nitidezza dell’immagine francamente inspiegabili.

Anche con questi difetti il gioco riesce a regalare un impatto d’insieme assolutamente invidiabile, mostrandosi al passo con i tempi se rapportato agli altri AAA dello stesso genere nell’attuale mercato videoludico.

Il porting PC

Nel valutare il lavoro svolto sul porting per PC di questo Final Fantasy VII Rebirth è impossibile non lanciare uno sguardo ai precedenti tentativi portati avanti dal team con FXVI e l’originale Remake, entrambi a loro modo problematici ma entro il range dell’accettabilità.
Questo capitolo, fortunatamente, ha ottenuto una sorte leggermente più positiva sin dal day one, risultando in linea di massima giocabile su una vasta gamma di configurazioni al netto di una penuria piuttosto importante di impostazioni grafiche dettagliate.

Nonostante i miglioramenti rispetto alla controparte per console di ultima generazione, la versione PC del gioco eredita per direttissima i problemi relativi alle ombre, per non parlare del terribile blur che smarmella inevitabilmente lo schermo dei giocatori meno avvezzi all’esplorazione dei file .ini per forzare modifiche impreviste.

Si può quantomeno godere di una implementazione nativa del DLSS (seppur non si tratti dell’ultima versione rilasciata con le RTX 50) che permette di guadagnare una buona percentuale di performance con il minimo impatto in termini di nitidezza e risoluzione.
Insomma, il porting di FF7 Rebirth non è perfetto, ma in un epoca videoludica in cui i requisiti si sono alzati senza pietà e l’ottimizzazione sembra star lasciando spazio a tecniche tappabuchi, ci troviamo di fronte ad un risultato più che accettabile.


Ringraziamo Plaion e Square Enix per averci fornito una chiave del gioco per realizzare questa recensione.

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Final Fantasy VII Rebirth (PC)
In conclusione
FF7 Rebirth è un titolo ambizioso, un blockbuster videoludico cosciente di star giocando con le aspettative e i ricordi di un pubblico vasto quanto esigente di appassionati. Riprendendo buona parte del gameplay del predecessore per raffinarlo ed espanderlo in alcuni frangenti, questo seguito introduce degli elementi non sempre riusciti, che rischiano di appesantire ed annacquare una narrativa convincente ma lenta da digerire. Chi ha aspettato l'uscita di questo porting per mettere mani su questa avventura troverà nel lavoro svolto da Square un compromesso sufficiente per poter godere del titolo, a patto che non si voglia smanettare per ottenere dei risultati migliori.
Pregi
Narrazione complessa e personaggi iconici
Fasi di combattimento raffinate e consolidate
Molta più varietà di ambientazioni
Comparto artistico e sonoro fuori scala
Un buon colpo d'occhio...
Porting tutto sommato buono
Difetti
I cambiamenti alla trama potrebbero non piacere a tutti
Fasi open world scialbe e ripetitive
Troppi minigiochi rischiano di spezzare il ritmo
Alcuni problemi tecnici ereditati dall'edizione PS5
8.8
Voto