Era il 2009 quando Naughty Dog concludeva lo sviluppo di Uncharted 2: Il covo dei ladri, raggiungendo un traguardo di certo importante ma che per Neil Druckmann rappresentò solo l’inizio.
Fu infatti proprio in quel periodo che, ispirato da una puntata della serie BBC Planet Earth in cui una formica veniva infettata da un fungo, nacque un’idea destinata a cambiare per sempre il futuro dello studio.
Un concetto semplice, un banale spunto che si trasformò presto nella scintilla creativa per uno dei titoli più amati di sempre, con oltre 200 premi e un posto assicurato nell’Olimpo del videogioco.
Parliamo, naturalmente, di The Last of Us. Una storia di infetti, di dolore, di sopravvivenza, ma soprattutto di amore e speranza, capace di conquistare milioni di videogiocatori con la sua interpretazione unica di un tema ormai abusato nei primi anni 2000, offrendo una visione intima e umana dell’apocalisse zombie.
Tra remastered, remake e l’annuncio di una serie TV HBO, era inevitabile che nel 2020 arrivasse anche un seguito, la “Part II”, riservato inizialmente ai soli utenti PlayStation4 e successivamente rimasterizzato anche per PlayStation5.
Ma con l’uscita di un porting PC del primo capitolo, accolto però da numerose critiche per i suoi gravi problemi tecnici, era solo questione di tempo prima che anche il secondo approdasse su questa piattaforma.

Quella che vi proponiamo oggi, tuttavia, non sarà solo una semplice analisi tecnica del lavoro di porting: sarà l’occasione per rivivere insieme una serie che ha unito milioni di giocatori con il primo capitolo, ma che con la sua seconda parte ha profondamente diviso pubblico e critica.
Dunque, cos’è davvero The Last of Us Part II? E soprattutto, il porting per PC sarà riuscito a conservare le emozioni e la potenza narrativa dell’originale o si tratta dell’ennesimo tentativo zoppicante che si limita ad effettuare un “atterraggio di emergenza” mal ottimizzato?
Scopritelo nella nostra recensione!
L’odio, l’amore e tutto ciò che sta in mezzo
Naughty Dog sapeva bene che, dopo il successo narrativo ottenuto con il primo gioco, non poteva semplicemente ripetere la stessa formula ma doveva alzare la posta in gioco, osare di più. E così, è stato.
The Last of Us Part II ci consegna una storia ancora più intima e cruda, raccontata non solo attraverso i dialoghi ma anche tramite le ambientazioni, le animazioni, i silenzi e persino i più piccoli gesti dei personaggi.
Ogni elemento è studiato nei minimi dettagli per costruire una scenografia degna delle migliori produzioni cinematografiche hollywoodiane, sorretta da un messaggio tanto potente quanto straziante che riflette il percorso emotivo affrontato finora.
In questo secondo capitolo seguiamo le vicende di due giovani donne, Ellie e Abby, segnate dai loro rispettivi traumi, dai rimorsi e dalla sete di risposte. Vedremo così due prospettive opposte, due mondi a confronto che si intrecciano e si scontrano, restituendoci uno sguardo più ampio e profondo su ciò che è successo dopo gli eventi del primo gioco.

Parliamo di una storia in cui nessuno è davvero cattivo, e nessuno è pienamente buono. Dove l’eroe di un racconto può facilmente diventare l’antagonista di quello di qualcun altro. Tematiche già ampiamente esplorate in moltissimi titoli, certo, ma che raramente riescono a colpire con la stessa intensità con cui lo fa The Last of Us Part II Remastered.
La narrazione si sviluppa in due atti distinti, ambientati entrambi nell’arco di tre giorni ma vissuti da prospettive opposte. Prima quella della ragazzina che abbiamo imparato a conoscere e amare nel primo capitolo, ora cresciuta e più segnata che mai, poi quella di Abby, nuova protagonista e figura centrale di questa storia.
Un’impostazione narrativa che ha di certo generato diverse critiche per la struttura frammentata e un ritmo non sempre ottimale, ma che rimane comunque apprezzabile visto che ci permette di cogliere la complessità morale e umana che permea l’intera vicenda.

La prima parte è una spirale di rabbia che ci trascina in una vendetta feroce, dove Ellie diventa sempre più cieca, e noi con lei. Durante la seconda, invece, assistiamo a una narrazione che prende drasticamente le distanze dagli eventi principali per esplorare nuove sfumature di un mondo di gioco che si espande e si arricchisce grazie a nuove fazioni, culture e ideologie, rendendolo sempre più vivo, stratificato e incredibilmente realistico.
Risulta davvero complicato per noi riuscire a parlarvi della storia di The Last of Us Part II Remastered senza rivelare nulla, dato che la sua forza sta proprio nella scoperta della sua narrativa spettacolare che merita di essere vissuta senza alcuna anticipazione.
Il nostro consiglio? Avvicinatevi al gioco sapendo il meno possibile. Lasciate che sia lui a guidarvi, a colpirvi, a farvi riflettere e a trasmettervi emozioni che, fidatevi, resteranno con voi ben oltre i titoli di coda.
Chi è l’eroe, chi il mostro?
The Last of Us Part I, a conti fatti, presentava una trama piuttosto lineare e priva di grandi sorprese, ma che riusciva comunque a splendere grazie a una scrittura eccezionale dei personaggi che, siano protagonisti o comprimari, risultano tra i più riusciti in un videogioco.
Con la Part II, invece, si verifica quasi il contrario. La narrazione si fa più articolata, ricca di colpi di scena, tensione e misteri capaci di tenere incollati allo schermo fino alla fine, ma purtroppo a costo di una minore caratterizzazione del cast.
Non vi nascondiamo però che anche in questo secondo capitolo i personaggi principali sono scritti con grande cura e profondità, e le loro emozioni sono rese ancor più credibili da un lavoro di animazione straordinario che dona una vitalità unica ai volti, agli sguardi e ai gesti.
L’impatto complessivo, tuttavia, risulta meno incisivo. Il gioco sembra infatti puntare gran parte delle sue energie narrative sulle due protagoniste e su pochi altri volti chiave, lasciando sullo sfondo diverse figure secondarie che, pur avendo un potenziale notevole, faticano a trovare spazio e sviluppo adeguati.

Questo anche perché The Last of Us Part II Remastered, rispetto al primo capitolo, si allontana maggiormente dalla classica formula survival con zombie per abbracciare piuttosto una visione molto più umana e sociale del mondo post-apocalittico. L’attenzione si sposta sui gruppi, sulle comunità nate dalle ceneri della civiltà e sulle dinamiche che si instaurano tra le persone, trovandoci a interagire con molti più individui rispetto a quanto visto in passato.
È quindi naturale che non tutti i personaggi possano godere dello stesso livello di approfondimento, nonostante il gioco riesca comunque a rendere molti di loro memorabili, e non è raro affezionarsi anche a figure più marginali fino ad arrivare persino a dispiacersi per le loro sorti quando le cose prendono una piega tragica.
Il cuore del racconto, però, resta saldamente ancorato alle due protagoniste, Ellie e Abby, che presentano una scrittura talmente densa, umana e stratificata che risulta difficile non restarne catturati (con una menzione speciale che va dedicata anche al personaggio di Lev).
Durante l’introduzione vi avevamo accennato a come il titolo abbia profondamente diviso la fanbase, e il motivo è presto detto: il conflitto morale tra Ellie e Abby ha costretto ogni giocatore a prendere posizione, a schierarsi emotivamente con una delle due.

Ma la bellezza di The Last of Us Part II, a nostro avviso, risiede proprio nel momento in cui ci si rende conto che non esiste una parte giusta o sbagliata. Ellie e Abby non sono altro che due lati della stessa medaglia, due anime segnate da traumi diversi ma simili, che rincorrono obiettivi sorprendentemente affini.
Due storie intrecciate in cui non esiste un vincitore, ma solo vittime di un ciclo perpetuo di odio, paura e dolore, amore e perdita. Nessuna delle due ha realmente torto e nessuna ha completamente ragione, ma combattono per ciò in cui credono, accecate dalla convinzione che la propria giustizia sia l’unica possibile.
Se il primo capitolo ci mostrava il collasso della società e il tentativo disperato di sopravvivere al mondo esterno, The Last of Us Part II Remastered ci porta dentro i conflitti interiori, scavando nella psiche umana per raccontare una storia più intima, più cruda, più scomoda.
Una storia che ci chiede non solo cosa saremmo disposti a fare per vendetta o per amore, ma anche cosa saremmo disposti a perdere nel farlo. E che, a distanza di tempo, continua a farci riflettere su cosa significhi davvero essere umani.
“Prima di intraprendere un viaggio di vendetta,
scava due fosse.”
– Confucio
Stealth, sangue e tanta libertà d’azione
Ad una prima occhiata, potrebbe sembrare che il gameplay di The Last of Us Part II Remastered non si sia evoluto particolarmente rispetto al suo predecessore, ritrovando le classiche sequenze stealth in cui ci viene chiesto di attraversare aree pattugliate senza farci notare, o eliminando uno ad uno tutti i nemici presenti.
E in parte è vero, le meccaniche cardine restano invariate: possiamo ancora abbattere silenziosamente un avversario alle spalle, fabbricare oggetti come medikit o bottiglie incendiarie, e potenziare sia il nostro personaggio che le armi utilizzando rispettivamente pillole o bulloni raccolti durante l’esplorazione.
Il gioco è quindi, da questo punto di vista, profondamente ancorato alle radici della serie, ma al contempo introduce una serie di accorgimenti che rendono impossibile un ritorno al passato.
Piccole modifiche, certo, ma capaci di migliorare sensibilmente la fluidità dell’esperienza e il senso di coinvolgimento, con un gameplay migliorato sotto ogni aspetto che è riuscito a farci divertire molto di più di quanto sia mai successo nella Part I.

La creazione di oggetti è molto più variegata, permettendoci di spaziare ben oltre i classici strumenti per il combattimento ravvicinato. Possiamo infatti ora realizzare munizioni per le armi da fuoco, così da non restare mai a corto nei momenti critici, e persino un silenziatore rimovibile per la pistola, elemento che rende le sezioni stealth molto meno limitanti rispetto al passato.
Parlando proprio di queste sequenze, soffocare un nemico è adesso un’azione molto più veloce sia con Ellie che con Abby, risultando in un gameplay che si allontana notevolmente dalla pesantezza e dalla lentezza che caratterizzavano i movimenti di Joel nel primo capitolo.
Le due protagoniste, del resto, offrono stili di gioco profondamente diversi. Ellie, più minuta e agile, eccelle nello stealth e può sfruttare al meglio l’ambiente per nascondersi, colpire con un coltello che non si rompe mai e impiegare armi pensate per il gioco furtivo, come l’arco.
Abby, invece, con il suo fisico robusto si presta maggiormente al combattimento diretto, con ogni suo attacco corpo a corpo che si fa decisamente sentire, e non vi nascondiamo la grande soddisfazione che si prova a picchiare uno zombie a mani nude.

Ovviamente non è solo il nostro modo di combattere ad essersi evoluto, ma anche l’intero mondo che ci circonda ha subito una trasformazione sorprendente! Il numero e la varietà dei nemici è aumentato notevolmente rispetto al passato, con avversari sempre più diversificati per tipologia e armamento, rendendo ogni scontro imprevedibile e meno monotono.
Alcuni saranno accompagnati da cani da fiuto capaci di rilevare il nostro odore, altri indosseranno elmetti corazzati o saranno semplicemente più resistenti grazie alla loro stazza. Anche gli Infetti tornano in grande stile con nuove varianti che vanno ad arricchire il bestiario del gioco, ma senza dimenticare quelle creature iconiche che hanno reso celebre la serie.
Una piccola menzione va anche ai Boss che incontreremo sporadicamente nel corso dell’avventura, che rappresentano senza dubbio alcuni dei momenti più creativi e intensi dell’intero gioco, con alcuni che sembrano usciti direttamente dai nostri peggiori incubi.
Nel complesso, l’intelligenza artificiale dei nemici ha fatto un deciso passo in avanti: i movimenti e le reazioni degli avversari risultano ora più credibili, permettendoci di applicare piccole strategie che sfruttano proprio questa loro rinnovata capacità di adattamento.

Non solo nei nemici, ma in ogni sua singola sezione The Last of Us ParteII Remastered dimostra una straordinaria capacità di rinnovarsi costantemente. Pur durando circa dieci ore in più rispetto al primo capitolo, non abbiamo mai provato un vero senso di stanchezza o ripetitività grazie a un’alternanza perfettamente calibrata tra momenti stealth, fasi di esplorazione, sequenze più action e intensi combattimenti, arrivando persino in certi frangenti a sfiorare l’horror più puro con atmosfere da brividi.
Ogni attimo del nostro viaggio riesce così a offrire qualcosa di unico, grazie anche a uno dei migliori level design mai visti in un videogioco. Ci troveremo a esplorare aree aperte e gigantesche, camminare su ponti sospesi a mezz’aria di cui è impossibile scorgere la fine, e attraversare intere sezioni pensate per valorizzare la verticalità, mettendo alla prova tutte le nostre abilità da platforming.

Ma l’aspetto che abbiamo veramente amato, senza ombra di dubbio, è la maggiore flessibilità che il titolo offre durante tutte le sue sequenze. Non esiste quasi mai un percorso prestabilito o un approccio obbligato: starà sempre a noi decidere se affrontare i nemici in silenzio, caricare a testa bassa o addirittura evitarli del tutto.
Inoltre, mentre nel primo gioco si era spesso costretti a superare le sezioni stealth in modo impeccabile, pena il dover ricaricare per non rimanere a secco di munizioni, The Last of Us Part II Remastered si dimostra molto meno punitivo.
È vero, per alcuni potrebbe risultare persino troppo permissivo, ma abbiamo apprezzato enormemente la possibilità di fuggire e nascondersi nuovamente anche dopo essere stati scoperti, così come il maggior numero di munizioni e materiali disseminati per la mappa.
In questo modo, chi preferisce un’esperienza più rilassata potrà godersi la storia senza pressioni, mentre i giocatori più temerari potranno sempre aumentare la difficoltà o cimentarsi nell’iconica modalità hardcore.
Un ritorno impeccabile
Insomma, The Last of Us Part II Remastered è lo stesso capolavoro che molti giocatori avevano già sperimentato e amato al momento della sua uscita, ma oggi siamo qui anche per rispondere a una domanda ben precisa: questo gioiello riesce a mantenere la stessa qualità anche su PC, oppure presenta gli stessi problemi dell’infame porting del predecessore?
Ebbene, siamo felici di confermare che non solo Nixxes Software ha svolto un eccellente lavoro, ma è riuscita persino a rendere ancora più speciale un titolo che sembrava aver già raggiunto il proprio apice su PS5.
Se infatti dopo la pessima ottimizzazione di Marvel’s Spider-Man 2 erano emerse alcune perplessità, anche a causa della vicinanza temporale tra i due progetti, con questo titolo lo studio ha dimostrato di essere ancora pienamente capace di sfornare lavori di altissimo livello.
E, come da tradizione per Nixxes, anche in questo caso troviamo un’ampia gamma di opzioni di accessibilità e impostazioni grafiche, pensate per permettere a ogni giocatore di personalizzare al meglio l’esperienza in base alla potenza del proprio PC.

Nel complesso, abbiamo riscontrato un’ottima stabilità anche su dispositivi di fascia medio-alta, riuscendo a mantenere un livello qualitativo piuttosto elevato seppur non sempre al massimo.
Il framerate si è mantenuto inoltre generalmente fisso, con solo qualche piccolo calo nelle sezioni più concitate che può essere facilmente risolto trovando il giusto compromesso tra prestazioni e qualità.
Fortunatamente, grazie a un sistema di illuminazione e a delle texture straordinariamente curate, anche abbassando alcune impostazioni grafiche la differenza visiva risulta quasi impercettibile. Ci troviamo di fronte a un’esperienza visiva mozzafiato, che diventa una vera e propria opera d’arte interattiva in ogni suo singolo momento.

Nixxes Software ha realizzato un lavoro spettacolare sia dal punto di vista tecnico che estetico, e ne è prova la nostra stessa galleria di gioco ormai colma di screenshot che non potevamo fare a meno di immortalare.
L’unico difetto, talmente minimo da sembrare quasi trascurabile, è rappresentato da alcuni sporadici bug visivi legati a ombre o texture, sempre localizzati in zone marginali e comunque quasi impercettibili durante le fasi di gioco più intense.
Segnaliamo anche la presenza della divertente modalità roguelike Senza Ritorno e di quella extra dedicata alla chitarra, che permette di suonare liberamente nei panni di diversi personaggi.
Per quanto fosse piuttosto scontato aspettarsi tutti gli extra già inclusi nella versione Remastered per PS5, è comunque un piacere averne la conferma.
Ringraziamo Sony per averci fornito una chiave del gioco per realizzare questa recensione.
Seguiteci sul nostro sito per altre recensioni e articoli in arrivo nei prossimi giorni.