OMORI, sviluppato dal team di Omocat e pubblicato da Playism nel 2020 a sette anni dal suo primo annuncio, è un videogioco di ruolo horror psicologico indie capace di coinvolgere il giocatore nell’esplorazione dei sentimenti dell’omonimo protagonista e dei suoi amici.
Indubbiamente influenzato da altri titoli come Yume Nikki e dalla serie di culto “Mother/Earthbound”, il prodotto presenta un buon utilizzo del medium, implementando elementi narrativi a meccaniche di gioco in maniera originale nonché funzionale.
TRAMA
La trama di OMORI affonda le sue radici nella raccolta di vignette “Omoriboy”, il cui adattamento in forma di webcomic era stato pianificato da Omocat nel 2013.
Successivamente ad un ampliamento e numerosi cambiamenti alla storia, la sviluppatrice decise che il miglior modo per far empatizzare il pubblico con il protagonista fosse trasformare la storia in un videogioco, cosicché il giocatore potesse vivere gli eventi in prima persona e plasmare gli avvenimenti della narrazione tramite le proprie scelte.
Omori è un ragazzino di circa 12 anni che, da ciò che è in grado di ricordare, ha sempre vissuto nello “Spazio Bianco”, una piccola e vuota stanza bianca opprimente che confina con un bizzarro mondo esterno, popolato da esseri umani e creature fantastiche.
Molte di queste zone non sono immediatamente esplorabili, rappresentando alcune fobie che Omori non riesce ancora ad affrontare.
Accompagnato da Aubrey, i fratelli Kel e Hero e la sorella maggiore Mari, il ragazzo dovrà cercare il suo migliore amico Basil, scomparso dopo aver trovato una raccapricciante fotografia il cui contenuto nasconde un grande segreto.
Procedendo nella storia, il mondo di gioco verrà reso gradualmente più esplorabile e, durante la ricerca di Basil, il legame tra i quattro protagonisti si stringerà sempre di più, ma anche la minaccia delle loro più profonde paure riaffiorerà a poco a poco.
La narrazione presentata da Omori, colma di colpi di scena e scelte da compiere, affronta sapientemente e realisticamente delle tematiche delicate ed introspettive, alternando situazioni divertenti, frutto dell’immaginario dell’infanzia, a momenti profondi e oscuri.
Ogni protagonista è ben caratterizzato psicologicamente e attraversa un proprio arco narrativo che contribuisce alla comprensione della storia da tutti i possibili punti di vista.
GAMEPLAY
Il gameplay loop di Omori risulta essere molto piacevole e offre molta varietà esplorativa e una moltitudine di quest secondarie facoltative ma gratificanti.
Questo offre al giocatore la scelta di procedere per la sua avventura senza essere obbligato a svolgere tutti gli eventi disponibili o ad esplorare tutto ciò che il gioco ha da offrire senza preoccuparsi di ottenere effetti positivi o negativi sulla trama.
Ogni zona è ben contraddistinta da panorami suggestivi e singolari e con dei ben apprezzati riferimenti alla Pop Culture, soprattutto degli anni ’90 e primi 2000.
Un paio di quest principali, purtroppo, sono a mio avviso portate avanti troppo a lungo e inutilmente: alcune zone possono diventare ridondanti e sono fitte di puzzle non necessari. Fortunatamente questo accade saltuariamente e il resto del gameplay riesce in ogni caso a rendere godibili queste aree di gioco.
Il titolo è ricco di scelte importanti lasciate al giocatore il che aumenta il fattore di rigiocabilità, dato che a cambiare non è soltanto il finale ma interi eventi di gioco e archi narrativi.
Il fiore all’occhiello del gameplay di Omori, tuttavia, è il Battle System, che introduce un approccio originale e semplice alle battaglie a turni.
Il giocatore può controllare i quattro protagonisti che possono eseguire un attacco standard, utilizzare un’abilità peculiare e creare combo di attacchi dagli effetti variabili utilizzando una barra di energia condivisa da tutti i membri della battaglia.
Le abilità sono influenzate dal legame che gli amici di Omori stringeranno durante la loro avventura e offrono una gradevole base strategica nel combattimento.
Inoltre, sia i nemici che i personaggi giocabili possono provare tre emozioni principali che si complementano a vicenda in un sistema strategico in stile “carta forbice sasso”.
Oltre ad un eccellente bilanciamento della difficoltà dei nemici, questo sistema di battaglia rende gli scontri piacevoli, frenetici e non ripetitivi, dato che ogni nemico può assumere un’emozione che stravolgerà la strategia della squadra.
Un altro aspetto molto apprezzato è proprio l’elemento horror del gioco, che non punta sui jumpscare se non di rado, bensì sulle atmosfere e gli argomenti trattati che rendono alcuni momenti specialmente colmi di tensione. Il dualismo tra due diverse fasi di gameplay, una più esplorativa e narrativa, l’altra più fitta di scontri, aiuta a rendere il titolo vario e interessante.
È utile ricordare che la versione per console offre anche alcuni elementi aggiuntivi e una Boss Arena esclusiva, mentre una traduzione italiana fanmade è disponibile soltanto per la versione di Steam.
GRAFICA
La grafica di Omori è composta da due elementi: la Pixel Art e le Illustrazioni disegnate.
Come altri RPG del suo stile, durante l’esplorazione il titolo presenta una visuale top-down in Pixel Art gradevole e ben realizzata, in grado di creare, assieme alle musiche d’accompagnamento, delle atmosfere su misura per ciò che accade nel gioco.
Quando i protagonisti attraversano zone prive di pericoli, divertenti o rilassanti, gli sfondi saranno caratterizzati da colori pastello, mentre se si trovano ad affrontare pericoli o traumi le tonalità si faranno più buie, spente e occludenti.
Anche del sottile ma significativo visual storytelling è presente in molti dettagli del gioco, esempio lampante è quello di aver reso lo sprite di Omori l’unico ad essere in bianco e nero.
Le finestre di dialogo, le battaglie e alcune cutscenes, sono invece illustrazioni vere e proprie, talvolta persino animate, che propongono uno stile simile a ciò che potrebbe disegnare un ragazzino, enfatizzando ancor di più il punto di vista del protagonista per come quest’ultimo percepisca l’ambiente che lo circonda.
Dunque, pur non essendo la grafica ciò su cui il gioco si concentra, il prodotto finale sfrutta al meglio ciò che ha a disposizione, trovando spunti di originalità e di stile, anche nella semplice Pixel Art, che sono più che sufficienti in un titolo indie.
MUSICA
Come la grafica, la musica è un perfetto accompagnamento all’obbiettivo che il gioco vuole raggiungere.
I brani, composti da Pedro Silva, Jami Lynne e Bo En sono orecchiabili e svolgono perfettamente la propria funzione.
Alcuni tra i brani più apprezzati sono “World’s End Valentine”, “Oyasumi”, “It Means Everything”, “Do You Remember?” e “GOLDENVENGEANCE”.
Alcune tracce riescono a comunicare le emozioni dei personaggi e a raccontare ciò che provano, tramite anche l’utilizzo di melodie ricorrenti (leitmotif) e l’alternanza tra brani orchestrali e synth.
Purtroppo, essendo una colonna sonora molto ampia, alcuni brani risultano meno riusciti di altri. Non di rado ci si troverà davanti a musiche composte da loop molto corti che si aggirano attorno ai 40 secondi e sarebbe stato interessante ascoltare delle versioni più estese e complete di brani che altrimenti rischiano di diventare ripetitivi.
Un’altra piccola pecca del comparto sonoro è la frequente alternanza tra le tracce dell’overworld, laddove ad alcune aree interconnesse tra loro e di breve percorrenza sono stati applicati brani diversi risultando in una ricorrente interruzione della musica.
Questi sono alcuni difetti che comunque non svalutano la qualità della colonna sonora, altrimenti eseguita in modo esemplare.
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