Nel 2012, poco dopo la nascita di un piccolissimo studio di sviluppo, Subset Games, formato da due soli membri, Justin Ma e Matthew Devis, arrivò sui nostri schermi uno degli indie più rinomati sulla piazza, FTL: Faster Than Light, strategico in tempo reale che sorprese per la sua semplicità e innovazione.
Dopo 6 anni Subset Games ci ha riprovato con Into the Breach, strategico questa volta a turni, ancora legato ad un’ambientazione estremamente fantascientifica. Dopo 3 anni mi ritrovo qui a parlarne, con il grande rimpianto di aver scoperto solo ora un titolo estremamente curato e che non lascia spazio ad alcun fattore aleatorio.

Gli alieni attaccano il multiverso


Non ho resistito allo scrivere un sottotitolo che rimanda al famoso Multiverso Marvel, di cui tanto si parla ultimamente generando un hype incredibile, a metà tra la gioia di un’introduzione così importante nei fillm Marvel e la delusione per un ennesimo joke da parte dei registi. Nel mondo di Into the Breach però il multiverso è reale, ed è pericolosamente minacciato da una razza di insettoidi alieni, i Vek, che sta attaccando lo stesso arcipelago di isole in varie linee temporali con lo scopo di proliferare poi nel resto del mondo.
E i resoconti storici ci dicono che alla fine i Vek ce l’hanno fatta, lasciando pochi umani superstiti che però, notoriamente tenaci, non si sono arresi e sono arrivati addirittura a costruire dei mech dotati di avanzatissime armi per poi sfruttare i viaggi nel tempo per salvare tutte le linee temporali quando ancora la minaccia non è diventata insostenibile. Into the Breach non presenta quindi una storia unica, ma è strutturato in modo da ricominciare ogni volta a sterminare i Vek per evitare l’estinzione dell’umanità in una nuova linea temporale.
Si tratta quindi di qualcosa di estremamente ripetitivo? Sarebbe davvero sbagliato pensarlo, ma per chiarire la questione vediamo come si struttura una partita.

Gli alieni attaccano un arcipelago


All’inizio di una nuova partita ad Into the Breach ci verrà prima di tutto chiesto di comporre una squadra, composta da 1 pilota e 3 mech. Sebbene infatti agli altri due mech vengano assegnati dei piloti randomicamente, il pilota scelto ad inizio partita è uno specialista che beneficia di particolari abilità e non solo. Per quanta riguarda i 3 mech invece le cose iniziano a farsi interessanti. Per la vostra prima partita avrete a disposizione una singola squadra, formata da un gigante in grado di usare la forza bruta, un rapido mech che riesce a danneggiare e respingere gli assalti nemici e infine un mech artigliere, in grado di coprire quasi tutti i punti della mappa con i suoi colpi che hanno effetto anche sulle caselle adiacenti alla zona colpita.
Into the Breach ci chiede, come dicevamo all’inizio, di attaccare i Vek mentre sono ancora circoscritti sull’arcipelago che fa da base al loro futuro attacco. Questo arcipelago è formato da 4 isole principali e un’isola dove risiede l’alveare dei Vek. La posizione di quest’ultima isola non è da subito raggiungibile ma richiede una certa conoscenza dei Vek del posto e in soldoni di liberare almeno 2 delle 4 isole.
Ogni isola di Into the Breach ha una sua particolarità. L’isola desertica ad esempio presenta grandi quantità di montagne e dune di sabbia, mentre l’isola di ghiaccio è perennemente coperta dalla neve, popolata da robot in grado di compiere il lavoro all’esterno e piena di fiumi quasi totalmente ghiacciati. Su ogni isola ha poi sede un Quartier Generale, base dei nostri mech, dal quale partire per liberare le varie zone dell’isola, fino a trovare il Vek capo, colui che coordina gli attacchi degli insettoidi su quell’isola.


Dopo aver liberato un’isola, la reputazione guadagnata agli occhi del comandante del posto ci permette di acquisire nuovo equipaggiamento e strumenti necessari alla sopravvivenza di mech e piloti. Le battaglie infatti si fanno sempre più difficili ed è essenziale assicurarsi di avere gli strumenti necessari alla protezione della specie umana.

Previsioni e battaglie


Ma come si svolgono le battaglie? Partendo dal QG appunto, si sceglie di volta in volta una missione che alla sua risoluzione permette di liberare un pezzo di isola. Sebbene gli obiettivi secondari di ogni missione siano estremamente diversi tra di loro, andando per esempio a chiederci di proteggere una centrale elettrica situtata sulla mappa o di scortare un treno per tutto il suo percorso prevenendo gli attacchi dei Vek, lo scopo ultimo è semplicemente quello di sopravvivere per un certo numero di turni subendo meno danni possibili.
Ogni missione infatti inizia su una griglia 8×8 rappresentativa di una porzione di isola. Su questa griglia trovano spazio, oltre che ad ostacoli vari come montagne, specchi d’acqua, pozze di acido etc…anche diversi edifici, tra palazzi e strutture. Questi edifici sono estremamente fondamentali, in quanto forniscono l’energia necessaria al movimento dei Mech, e saranno spesso bersaglio degli attacchi nemici. Permettere agli alieni di distruggere queste strutture comporta un progressivo abbassamento della barra di energia, che una volta arrivata a 0 segnerà il game over e il fallimento della partita. All’inizio di una missione 2-3 Vek sono già disposti sulla mappa mentre a noi tocca selezionare le caselle di arrivo dei mech che vengono sganciati dall’alto. Non tutte le caselle sono valide come punti di sbarco ed è quindi imperativo cercare di coprire le zone più a rischio senza dividere troppo i mech, che ovviamente danno il meglio quando riescono a coordinarsi.


Ed è infine qui che inizia la parte succosa. Gli alieni fanno la loro prima mossa. Così come i mech, ogni alieno ha di base un certo numero di punti vita e movimento oltre che ad un suo specifico attacco che spazia tra il colpire le caselle vicine fino ai colpi a distanza. Gli alieni però non muovono e attaccano nello stesso turno. Dopo aver mosso infatti diventano chiare le loro intenzioni di attacco e tutti i bersagli vengono evidenziati. Consci quindi di quali mech e strutture verranno colpite all’inizio del prossimo turno degli alieni, sta al giocatore muovere i suoi mech nel tentativo di abbattere tutti i Vek avversari. Nel caso in cui ciò non sia possibile si tenta quantomeno di spostare i Vek dalle loro pericolose posizioni e al contempo iniziare a danneggiarli. Ogni mech ha a disposizione un movimento e in seguito un attacco. E’ sempre possibile attaccare sul posto dove si è già, ma consapevoli che dopo aver attaccato non ci si potrà spostare fino al prossimo turno. Una volta date tutte le istruzioni ai mech le intenzioni nemiche si concretizzano. I Vek rimasti in vita eseguono i loro attacchi sia che si trovino a colpire qualcosa o che vadano a vuoto. Dopo aver attaccato si muovono e rendono visibili gli attacchi che hanno intenzione di effettuare al prossimo turno, fino alla fine dei turni di sopravvivenza previsti. Se da un lato è facile occuparsi di 2-3 alieni in un turno, è necessario tenere conto del fatto che alla fine di ogni turno alieno verranno evidenziate alcune caselle dalle quali affioreranno nuovi nemici al turno seguente. Queste caselle possono essere lasciate libere o occupate da mech e nemici (Magari dopo averli sapientemente spinti con un dolce buffetto) in modo da ostacolare l’affioramento al cambio di qualche danno (Che nel caso ci siano nemici sulla casella va a nostro vantaggio).

Una fucina di variabili

”…Into the Breach non lascia NULLA al caso, azzerando completamente il fattore sfortuna.”


Ricapitoliamo quindi questa mole di informazioni. Nel tentativo di liberare le isole invase dai Vek, in ogni missione i nostri mech si occupano di limitare i danni a se stessi e alle strutture cercando al contempo di distruggere più insettoidi possibili per acquisire esperienza e completare gli obiettivi bonus che aumenteranno la reputazione spendibile dopo aver completato un’isola per comprare ed equipaggiare nuove armi e installare i reattori necessari ad alimentarle. Dopo aver liberato dalle 2 alle 4 isole è possibile attaccare l’isola finale per distruggere l’alveare dei Vek e passare poi ad un’altra linea temporale da liberare.
Cosa rende quindi questo gioco estremamente vario e soprattutto geniale nonostante lo scopo sia sempre lo stesso ad ogni partita? In primo luogo alla fine di ogni partita non si riparte da zero ma si acquisiscono punti in grado di farci sbloccare mech nuovi di zecca con le loro abilità specifiche per un totale di 33 mech diversi sul gioco base liberamente combinabili per assemblare squadre diverse. Inoltre dei 3 piloti usati in una partita è possibile recuperarne uno che ci accompagnerà nella nuova linea temporale con tutto il carico di esperienza acquisito nella linea o nelle linee temporali precedenti.

La community di Into the Breach, tutt’ora attivissima, continua a creare mech e alieni personalizzati, a volte con risultati incredibili

Ogni mappa, ogni missione, ogni gruppo di nemici poi sono generati in maniera procedurale. La conformazione delle griglie sarà quindi sempre diversa, presentando ostacoli e alleati nuovi e in posizioni a volte molto utili altre volte meno garantendo quindi una varietà enorme di situazioni e richiedendo una flessibilità di pensiero, togliendosi dai binari di una partita giocata a memoria, cosa totalmente impossibile. Il numero di variabili per ogni griglia è immenso, e spazia da armamenti lasciati sul posto dalle guerre precedenti a burroni, robot impazziti che danno man forte ai Vek, incendi, nastri trasportatori e tanto altro che può risultare un ostacolo quanto un modo per liberarsi in fretta degli alieni spingendoli verso un dirupo ad esempio. E’ addirittura possibile, all’inizio di una missione, che dal cielo arrivi una capsula proveniente da un’altra linea temporale contenente reattori, armi e piloti speciali che diventeranno poi disponibili come scelta del primo pilota per le nuove partite.

Zero casualità, controllo completo


Ma c’è un ultimo punto, fondamentale, lasciato volutamente alla fine, che riesce a prendere tutta questa varietà, fasciarla e renderla una sola unica strada: paradossalmente Into the Breach non lascia NULLA al caso, azzerando completamente il fattore sfortuna. Ogni danno, ogni punto vita, ogni obiettivo dei nemici, ogni statistica è sempre li, ben visibile, e non cambia mai a caso. Non esiste la precisione, i colpi andranno sempre a segno e faranno sempre la quantità di danni stampata. Se ci sono effetti passivi che si applicano su di noi o sui nemici sono sempre segnalati tramite apposite icone facilmente consultabili. Pianificare una strategia ad ogni turno, spesso contro un numero di nemici molto alto, è solo questione di studio della situazione e di pensiero laterale, fattore determinante nella creazione di tattiche volte a sfruttare ogni singola particolarità della mappa sulla quale siamo, quella mappa totalmente unica eppure leggibilissima. Non è possibile trovare modi alternativi di spiegare questo concetto. Into the Breach è molto vario ma anche perfetto nella sua precisione, garantendo il successo di chi conosce tutti gli aspetti del gioco.

Aspetti tecnici e conclusioni


A livello visivo e sonoro, infine, Into the Breach si comporta benissimo. Gli effetti sonori di mech e alieni sono ottimi e visivamente il gioco gode di una pixel art chiara e caratterizzata. Aggettivi questi che possono benissimo descrivere il titolo nella sua interezza, e che ad oggi risulta assolutamente un must have per ogni amante degli strategici che, grazie anche al supporto alle mod e ad una community ancora attivissima in tal senso, potrà godere di una variabilità e di una precisione uniche nel loro genere, per un titolo che sui suoi punti di forza non ha davvero alcun rivale.