Recensione ACAB: La Serie – All Cops Are Bastonati

C’è stato un lungo periodo in cui gli amanti del cinema di genere (come il sottoscritto) vedevano Stefano Sollima come il messia che avrebbe condotto il bel paese lontano da questa epoca cinematografica oscura, fatta di film noiosi sui problemi familiari borghesi di gente intollerabile o commedie insulse che ricadono sempre sugli stessi stereotipi regionali, culturali e sociali.

Il regista di ACAB: All Cops Are Bastards, che ritorna in ACAB: La Serie in veste di produttore esecutivo e lascia il suo precedente ruolo nelle mani di Michele Alhaique, si è sempre contraddistinto per essersi staccato nettamente dai canoni della televisione e del cinema italiano.
Sollima è riuscito in primis a realizzare opere di fiction credibilissime e realistiche, inserite sia nella tragica quotidianità italiana , così come nella oscura e mai chiarita sino in fondo ”storia” criminale italiana e nelle sue ramificazioni sino ai più’ alti vertici dello stato.

In foto, il motivo per cui non smetteremo mai di voler bene a Sollima.

Nonostante la qualità e i risultati del lavoro del regista di Romanzo Criminale, la rivoluzione sperata non è mai avvenuta, e ad oggi rimane ad oggi uno dei pochissimi autori nostrani di un genere crime e poliziesco a tinte action non banale.
Fortunatamente però il prolifico Sollima non si é mai arreso e la sua influenza continua a essere forte nella produzione italiana cinematografica e televisiva moderna, ed é così che oggi, a tredici anni di distanza dall’uscita delle sale cinematografiche di ACAB, il romanzo di Carlo Bonini è stato nuovamente adattato in una miniserie di sei episodi per Netflix, che ha velocemente scalato le classifiche italiane ed estere.

Riuscirà questa nuova incarnazione a mantenere l’altissima qualità del film originale e più in generale gli altissimi standard qualitativi a cui ci ha abituato Sollima? Scopritelo nella nostra recensione!


LA TRAMA:

ACAB: La Serie (Public Disorder nel mercato estero) racconta le vicende di una squadra del Reparto Mobile di Roma, composta da uomini e donne che, dietro le uniformi antisommossa, si trovano a fronteggiare non solo conflitti esterni con manifestanti di varia natura ma anche profondi turbamenti familiari e personali, che, combinati all’estrema violenza che comporta il lavoro di celerino, porta a non pochi problemi.
ACAB inizia con degli scontri in Val di Susa, tra manifestanti anti-TAV che si oppongono agli scavi della montagna.


Quando il comandante del reparto Roma 3, Pietro Furi (Fabrizio Nardi), subisce gravi ferite in seguito allo scoppio di una bomba carta, l’intero gruppo si ritrova in una situazione di forte instabilità e le scelte del secondo in comando, Ivano ‘Mazinga’ Valenti (Marco Giallini) portano un giovane manifestante in coma e al successivo tentativo di insabbiamento delle prove.

Una volta tornati a Roma, la leadership passa quindi a Michele Nobili (Adriano Giannini), un poliziotto con un approccio più riformista e progressista, il cui arrivo alimenta tensioni e contrasti all’interno della squadra a causa del suo passato come testimone in un processo che vedeva come imputati alcuni suoi colleghi. Ma nonostante i suoi buoni propositi e l’apparente ostilità del resto di Roma 3, persino il benintenzionato Nobili sarà presto trascinato in un vortice di violenza e omertà.

Da qui in poi la serie, esattamente come il film, alterna momenti di vita personale e familiare dei vari poliziotti ad altri in cui viene mostrato (nel bene e nel male) il lavoro del celerino.
Ci sono poi dei momenti decisamente più crime (e conseguenze di questi) in cui i vari membri di Roma 3, non operano in maniera proprio trasparente e pulita, ma agiscono più con l’idea di seguire i valori di una sorta di cameratismo tossico sino alle estreme conseguenze.

LE DIFFERENZE CON IL FILM:


Dal punto di vista della narrazione, ci troviamo di fronte a un prodotto totalmente nuovo e non a un semplice adattamento, esattamente come la pellicola non si limitava a prendere le situazioni del romanzo e rielaborarle in una forma più adatta al medium.
Unici ritorni, ma solo a livello di nome, con una storia completamente scollegata dagli eventi di All Cops Are Bastards: il carismatico Giallini con il navigato e disilluso Mazinga e suo figlio Giancarlo, quest’ultimo con un nuovo interprete (non accreditato su IMDB) e con il nuovo ruolo di impiegato statale (mentre sul grande schermo era un molto più giovane naziskin).

In ACAB, la Serie troveremo un Mazinga ancora più estremo del personaggio del film, in tutti i sensi.

Le grandi differenze non si fermano però a livello di personaggi, se infatti nel primo adattamento soltanto alcuni dei celerini vivevano delle condizioni personali complicate, qui viene decisamente calcata la mano.
Se nella pellicola cinematografica vivevamo le vicissitudini familiari del Negro, di Adriano e dello stesso Mazinga, trovavamo però anche la grande interpretazione di Pierfrancesco Favino nel ruolo di Cobra, vera ancora e modello per l’intera squadra.

In questo nuovo ACAB invece non c’è nessuno degli interpreti principali che non viva qualche sfiga grave a livello personale, con il livello del dramma sempre carico a mille.
La serie sceglie di distanziarsi dal film mostrando pochi momenti camerateschi per abbracciare invece una linea tematica della solitudine, in cui ogni poliziotto viene ritratto come schiacciato principalmente dal peso delle conseguenze del suo lavoro.
Lavoro che consiste nell’essere, in teoria, un funzionario statale, ma in realtà una sorta di arma da puntare e usare quando c’è bisogno di imporre l’ordine, e allo stesso tempo da rimettere in riga alla prima occasione in cui essa dovesse uscire fuori dal seminato.

C’è da dire che la scelta di eliminare quasi completamente le scene di cameratismo sembra un (ottimo) lavoro fatto per sottrazione. Quando vengono mostrati gli agenti insieme, in situazioni (di pericolo o di relax) fraterne, viene reso ancor più palese rispetto ad All Cops Are Bastards il fatto che i protagonisti di ACAB presi singolarmente non sono nessuno, ma trovano la loro vera forza nel gruppo.

Molto interessante anche la scelta di rendere ACAB La Serie da un certo punto di vista molto meno politica, con soltanto qualche riferimento diretto qua e là, a differenza del primo film dove erano presenti scene come il monologo del Negro davanti al parlamento, in uniforme e giubbotto tattico, o le riprese dell’appartamento di Cobra, addobbato da ritratti del duce, manifesti futuristi e katane.

I protagonisti verranno ben presto messi davanti alle conseguenze delle loro brutali azioni.


Abbiamo ragionato sul fatto se questo fosse una sorta di compromesso cerchiobottista da parte della produzione, un escamotage utile a evitare polemiche in un periodo storico politicamente più teso, rispetto a 13 anni fa. Ma allo stesso tempo è emblematico che a livello di trama sia stato quasi eliminato qualsiasi elemento che permettesse di empatizzare con i protagonisti, che è una scelta coraggiosissima.

Si, sono presenti degli scontri con dei tifosi stranieri e almeno un personaggio decisamente negativo (che odora vagamente di lotta di classe), ma la maggior parte degli oppositori qui sono semplici manifestanti, persone che lottano per difendere la loro casa.
Nel primo adattamento invece, la stragrande maggioranza degli antagonisti era composta da estremisti della destra estrema o da individui che rendevano impossibile non vivere dei classici momenti di bromance al testosterone quando la squadra usava la forza bruta, e soltanto per pochi minuti vedevamo il reparto dover sgombrare degli indigenti da degli appartamenti per ordine del comune di Roma.

Non stupisce insomma, che a livello personale, i protagonisti si sentano molto più colpevoli e che l’opera in generale sia molto più drammatica e matura del suo predecessore, romanzando e romanticizzando molto meno l’attualità italiana.

Uno dei momenti più tesi all’interno di ACAB: La Serie.


Peccato che proprio nel finale la serie perda ogni parvenza di realismo. Il film si concludeva con le drammatiche conseguenze della morte di Gabriele Sandri, e anche la serie sceglie di seguire una strada simile, risultando però, tutto sommato molto meno verosimile.


RECITAZIONE E REGIA:


Un’impianto narrativo così drammatico e così ricco di eventi negativi potrebbe risultare stucchevole all’interno di un poliziesco del genere, e ricondurlo a una sorta di soap opera in uniforme.
Fortunatamente però sia l’ottima recitazione che la regia del cast scongiurano questo destino per ACAB: La Serie.

A livello recitativo l’intensità di tutti gli attori è perfetta, mai troppo sopra le righe e mai eccessivamente pacata e impersonale.
OItre a Giannini e Giallini, troviamo un ottimo esempio nel personaggio di Marta Sarri (Valentina Bellè), fredda e capace non perdere il controllo persino nelle situazioni più estreme, ma allo stesso tempo madre affettuosa e protettiva.

Altra performance che ci ha colpito parecchio è quella di Pierluigi Gigante, che interpreta l’agente Salvatore Lovato. Da un lato il classico maschio alfa tutto d’un pezzo e aggressivo, dall’altra persona incredibilmente sola e fragile.

Parlando della regia di ACAB: La Serie, non si può non notare quanto Alhaique abbia preso il meglio di Sollima, unendolo a tante influenze di lusso.
C’è una Roma dipinta in maniera cupa e ostile, come la Napoli di Gomorra, ma talmente solitaria da assumere quasi delle atmosfere oniriche.
Ma c’è anche un uso stupendo della tensione, che rimane sempre altissima, tenendo lo spettatore incollato sino all’ultimo episodio; uso debitore di un capolavoro come Distretto 13 – Le Brigate Della Morte.

Tensione che arriva alle stelle nel finale della serie (che non ci è piaciuto particolarmente dal punto di vista narrativo ma che oggettivamente non possiamo che apprezzare da quello estetico), con un montaggio che non stonerebbe in uno zombie movie di George Romero.

Apprezzabilissima anche la cura riposta nel dare il giusto realismo sia ai comportamenti dei vari manifestanti/tifosi, ma anche e sopratutto alle operazioni dei reparti mobili della polizia di stato, con tecniche e tattiche di contenimento delle folle realizzate in maniera veritiera.


ACAB: La Serie è una miniserie da 6 episodi disponibile su Netflix
Ringraziamo Netflix Italia per averci fornito la possibilità di vedere in anteprima la serie per realizzare questa recensione.

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ACAB: La Serie
In Conclusione:
Il ritorno di ACAB dopo tutti questi anni rappresenta, nuovamente ritorno della volontà di Stefano Sollima ( qui in veste di produttore) di fare cinema e televisione di genere non convenzionale, per gli standard del nostro paese. Una miniserie cupa e realistica, ma anche appassionante ed energica che, senza schierarsi e senza romanzare eccessivamente, indaga sul rapporto che intercorre tra lo Stato e i suoi rappresentanti.
Pregi
Il ritorno di una grande serie firmata Stefano Sollima.
Un grande cast per una grande recitazione.
Ottima regia.
Una serie matura e appassionante.
Molto realistica.
Difetti
Il finale della serie ci è sembrato abbastanza inverosimile dal punto di vista narrativo.
9
Voto