Fra le tante capacità intrinseche del medium videoludico, avete mai pensato a come questo si possa rivelare un mezzo di riflessione personale, uno specchio rivelatore delle nostre emozioni sopite, o magari quella spinta che serviva per comprendere al meglio i meccanismi inesorabili della nostra vita mortale?
Until Then, in una certa misura, è esattamente questo, un progetto di passione che traccia un percorso palesemente personale eppure drammaticamente universale.
It felt like the world had ended but a part of me wants to believe…
the world hasn’t ended yet

Chiaro, non stiamo parlando di un tentativo di filosofeggiare sulle sfide della vita come accadeva in The Beginner Guide di Davey Wreden, ma bensì di un racconto esercitato con la tipica sensibilità di un adolescente che combatte delle problematiche vecchie come la storia dell’umanità: la perdita, il senso di colpa e l’abbandono.
Comparto narrativo/analisi
Se siete arrivati in questa recensione con una relativa coscienza dell’entità del titolo, saprete che la componente narrativa ricoprirà per forza di cose la stragrande maggioranza della recensione. Proprio in virtù di questo, e non avendo a che fare con nessun embargo o fretta di sorta, abbiamo deciso di trasformare questa sezione in un’analisi approfondita.
In Until Then interpreteremo Mark, un ragazzino filippino che si trova ad affrontare una vita autonoma e ripetitiva fra scuola, amici e poco… pochissimo impegno nello studio. Alternando ricordi nostalgici a qualche piccolo incidente, l’adolescenza di Mark procede senza particolari intoppi, se non fosse per il verificarsi sempre più fitto di episodi inspiegabili di déja vu.

Indecisi sull’affibbiare la causa di questo fenomeno ad un qualcosa di paranormale o alla nostra sbadataggine, ci affideremo alle sapienti intuizioni della capoclasse Louise per avviare una investigazione di tipo scientifico.
Ad ogni modo, è a causa di una delle nostre dimenticanze quotidiane che incontriamo Nicole Lacsamana, una studente appena giunta in città a seguito dell’avvenimento di un terribile cataclisma (il cosiddetto ruling).
Il nostro destino sembra essere legato inevitabilmente alla storia di questa ragazza, che ben presto impariamo a (ri)conoscere fino a rimanerne inevitabilmente invaghiti.
L’aspetto che più ci lega con questa persona sta in una particolare predisposizione verso lo studio del pianoforte, seppure noi non saremo altro che principianti ispirati dal desiderio di avvicinarci alla figura di nostra madre, mentre Nicole è invece una ragazza prodigio che ha deciso improvvisamente di smettere.
Mentre questa relazione continua a sbocciare, seppur non senza incidenti, approfondiamo la conoscenza di alcune figure chiave nonché i nostri amici d’infanzia più fidati, Catherine e Lindel.
Parallelamente, il nostro protagonista si iscrive al club di piano, cercando quella svolta positiva che fino ad ora non era riuscito a cogliere.

La prima run di Until Then è quindi un avventurarsi lento e assolutamente sensibile a quella che è l’esperienza quotidiana di un ragazzino problematico, per nulla cattivo, ma pur sempre colto in delle dinamiche che sfuggono totalmente dal suo controllo.
Dovendo necessariamente approfondire gli aspetti a cui vi abbiamo accennato vi avvertiamo, d’ora in poi faremo spoiler sulla trama e sul suo significato, o almeno quello che gli abbiamo dato noi.
Inizio Spoiler
Come abbiamo detto nell’introduzione, Until Then è una storia che coinvolge la perdita, il perdono e l’abbandono, e lo fa talvolta assumendo dei toni deprimenti e per nulla trattenuti.
La verità, che scopriremo più tardi nel gioco, è che la madre di Mark è morta in un terribile incidente aereo sulla via del ritorno. Anni prima, con l’inasprirsi delle condizioni economiche della famiglia, era stata costretta a partire per trovare lavoro all’estero assieme al marito, lasciando a casa un giovanissimo Mark.
Questo evento traumatico, unito alla ferita mai chiusa di questo “abbandono” prematuro, non è mai stato accettato né dal protagonista né da suo padre, che hanno continuato a vivere nella speranza di un miracolo.

E’ così che capiamo che ciò che unisce Nicole e Mark non è veramente il piano, ma la perdita; anche la nostra coprotagonista si ritroverà a non riuscire ad accettare la serie di eventi che ha portato alla scomparsa del suo migliore amico d’infanzia ancora prima del cataclisma.
A questi avvenimenti si aggiunge un sottotesto paranormale, che è quello che vede scontrarsi diverse linee temporali e mondi paralleli fuori controllo.
Colti in delle faglie al confine fra questi universi, alcuni personaggi iniziano a sparire senza lasciare alcuna traccia, rendendo ancora più urgente l’investigazione da parte di Louise e dei protagonisti.

Nel frattempo Mark si ritrova a vivere gli stessi traumi ancora e ancora, non riuscendo a proseguire e anzi finendo per incontrare un baratro ancora più grande quando Cathy viene travolta e uccisa in un incidente stradale.
Tutto ciò che avviene in seguito è una corsa contro il tempo, con Mark e Nicole che tentano disperatamente di porre fine a questo ciclo infinito di sparizioni e morte al costo di un cataclisma che continua a scalare di potenza all’inizio di ogni loop. Fra progressi risicati e ricadute dolorose quanto profonde, sembra che non ci sia scampo dall’intevitabilità del destino che abbiamo deciso di sfidare.
In un ultimo disperato tentativo, ciò che viene chiesto alla coppia di protagonisti è qualcosa di semplice ma al contempo estremamente complicato, accettare e perdonare la scomparsa dei propri cari e lasciare che sia il fato a plasmare la loro strada futura.
Il finale della terza run è agrodolce, non da molta soddisfazione ma è carico di rassegnazione, la trama smette di ripetersi e con lui le vite dei nostri protagonisti, chissà che un giorno si possano rincontrare…
Fine spoiler
Luci ed ombre
Pur potendo vantare una scrittura potente ed estremamente efficace, non si può certamente dire che Until Then sia perfettamente coerente e scorrevole in termini di trama. Le più grandi forzature si hanno senza dubbio nell’introduzione di elementi sovrannaturali spiegati attraverso sequenze che si prendono fin troppo sul serio, finendo per sembrare delle supercazzole.
Al fine di raccontare la sua storia il titolo non indugia dal ricorrere occasionalmente a delle intuizioni narrative non proprio chiarissime e che hanno bisogno di molta speculazione per essere contestualizzate.

I momenti in cui Until Then dimostra pienamente la forza della sua narrativa sono in realtà quelli che coinvolgono la quotidianità, raccontata con la naturalezza di chi sa assolutamente di cosa sta trattando.
Le preziose memorie di una giornata passata con Cathy, le avventure passate di un gruppo di amici ormai prossimo al “grande passo”, lo sbocciare di un amore tenero e irresistibile oppure il nostalgico scrollare dei social e delle chat catturato con un realismo fuori scala; sono tutti elementi che rendono Until Then un’esperienza immersiva e profondamente personale.
Ed è proprio dopo aver bloccato il giocatore in questa viscosa ragnatela di relazioni ed emozioni immediatamente divenute nostre, che il gioco decide di colpire con violenza le corde del nostro cuore. È il tradimento di questa carica nostalgica irresistibile, che ci riproietta nel passato con estremo realismo per poi farci cascare il mondo addosso, nel tentativo riuscito di trasmettere proprio le emozioni della perdita e la frustrazione dell’ineluttabilità del destino.

In un’opera del genere non stupisce sapere che i personaggi sono scritti in maniera eccellente, tanto che difficilmente li dimenticheremo ed anzi proprio non riusciamo a smettere di pensarci. Nessuno di questi appare piatto e fine a se stesso, bensì ciascuno combatte le proprie battaglie personali in una maniera che rende davvero difficile causare indifferenza.
Completare Until Then non richiede molto altro che lo sforzo di calarsi nella vita di un personaggio tridimensionale e già ben caratterizzato. Se infatti vi aspettate una grande differenza nei risultati fra la scelta di un’opzione piuttosto che un’altra rimarrete delusi, il gioco ha tre finali e questi non dipendono dal nostro comportamento bensì da quante volte assisteremo al calare dei titoli di coda.
Avremo quindi a che fare con un loop che la prima volta vi lascerà senza dubbio sfiancati e privi di forza di volontà, tanto che non sarebbe affatto strano prendere una lunga pausa giusto per assorbire il colpo. Quale che sia la vostra personale conclusione in relazione alla tematica di cui il gioco tenta di parlare vi sono sicuramente dei punti fissi che possiamo apprezzare, fra l’importanza delle amicizie più sincere e la necessità di guardare sempre al futuro e non fossilizzarsi sul dolore del presente.

Infine, ma non per importanza, il titolo ha la caratteristica di raccontare delle tradizioni e usi della sua ambientazione senza sviare minimamente una visione universale della narrativa. Le Filippine sono rappresentate dalla prospettiva di qualcuno che le vive quotidianamente ma la cosa non ci viene fatta minimamente pesare, plasmando un contesto che diventa sorprendentemente familiare dopo appena una manciata di minuti.
In definitiva, esplorare la trama di Until Then significa innanzitutto sentirsi a casa in un contesto che moltissimi di noi hanno avuto il modo di vivere in prima persona, lasciandosi coinvolgere da capo a piedi nelle vicende di un alter ego virtuale con cui è davvero difficile non entrare in sintonia e… ahimè, con cui condivideremo emozioni davvero molto potenti.
Il gameplay
Until Then, come è ovvio che sia, non è un titolo per chi favorisce il gameplay sulla narrativa, trattandosi in fondo di un’avventura in stile visual novel.
Non c’è azione e l’Interagibilità è ridotta all’osso in favore di sequenze completamente narrative che iniziano e si concludono nel giro di una manciata di minuti, spezzate perlopiù da brevi camminate in giro per le ambientazioni delle singole scene.
Questo, oltre ad un ritmo dei dialoghi generalmente molto rilassato, rende il ritmo di gioco lento ed a tratti anche letargico.

Certo, sono presenti qui e lì dei piccoli minigiochi, anche questi totalmente contestualizzati all’interno della narrazione, che però saranno altrettanto lenti e onestamente poco ispirati.
Un discorso separato va fatto per il minigioco del piano, presentato come un classico rythm game in cui dovremo premere i tasti a tempo con le indicazioni visive. Queste sezioni, per quanto poche, possono rappresentare una grande sfida soprattutto per i giocatori completisti, per cui vi consiglieremo di spendere un po’ di tempo ad allenarvi nella stanza di Mark ove possibile.
Se esplorato nella sua totalità, il titolo durerà attorno alle 16-17 ore, una durata importante ma per nulla sentita che purtroppo non lascerà molto spazio alla prospettiva di una rigiocabilità elevata.
Siamo pronti a scommettere che una volta finito il vostro playthrough paghereste per l’opportunità di poterlo rifare senza ricordi pregressi, ma questo non è possibile per cui godetevi al massimo l’esperienza.

Una piccola critica va rivolta alle sequenze in cui dovremo scrivere con il nostro cellulare, sicuramente ben realizzate ma davvero lente se consideriamo che dovremo digitare prima noi e poi attendere con tutta calma una risposta, in una maniera realistica ma in fin dei conti poco necessaria in un videogioco.
Vorremo infine segnalare la presenza di una meravigliosa traduzione italiana, davvero ben curata e
Comparto artistico e tecnico
Senza voler esagerare, la pixel art utilizzata in Until Then è fra le piu belle e ricche di personalità che abbiamo mai visto in questo medium, facendo uso di un sapiente mix di scenari in 3D, sprites curatissime e brevi scene animate.
Un grande impatto in tal senso è da attribuire all’illuminazione incredibilmente curata dello scenario e all’attenzione maniacale per il dettaglio, tutti elementi che hanno a che fare con un art direction semplicemente eccezionale.

Abbiamo apprezzato molto anche la OST composta da Kyle Patrick Naval, formata quasi totalmente da brani al pianoforte che ben si adattano al contesto e alla sua drammaticità:
Dal punto di vista tecnico il titolo è forse più esoso in termini di performance rispetto al tipico gioco in pixel art, forse a causa di un utilizzo intensivo dell’engine Godot per quanto concerne l’illuminazione.
Su Steam Deck a dettagli massimi si fatica a mantenere i 30FPS stabili se non si è disposti a diminuire l’antialiasing, con dei risultati sfortunatamente non molto soddisfacenti sul dettaglio delle scene. Abbiamo riscontrato anche qualche piccolo glitch e bug che tuttavia non ha finito per inficiare sull’esperienza.
Ringraziamo 1UPPR per averci fornito una chiave del gioco per realizzare questa recensione.
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