In un panorama videoludico dominato da grandi titoli tripla A e piccoli giochi indie, è facile dimenticarsi di quei progetti a medio budget che si collocano tra i due estremi. Un esempio significativo è quello di Deck 13, che sotto la pubblicazione di Focus Entertainment ha prodotto giochi come Lords of the Fallen e i due capitoli di The Surge.

Il loro ultimo progetto, Atlas Fallen, è stato pubblicato circa un anno fa e ha ricevuto un’accoglienza tiepida sia dalla critica che dal pubblico, ottenendo un successo decisamente moderato. Tuttavia, durante questo periodo, lo studio tedesco non è rimasto inattivo; al contrario, ha lavorato duramente per sviluppare e testare un aggiornamento sostanzioso, progettato per migliorare ogni aspetto del gioco e arricchirlo con nuovi contenuti.

Questa nuova versione, chiamata Reign of Sand, è ora disponibile, e dopo averla provata, sono pronto a parlarvene. Di seguito, la nostra recensione.


TRAMA E NARRAZIONE

L’intera vicenda è ambientata su Atlas, un pianeta puramente fantasy dominato da un bioma desertico a causa dell’influenza di Thelos, il dio del Sole, che governa implacabilmente su queste terre e al quale la popolazione si sottomette con cieca fede e assoluta devozione.

Ad un certo punto, però, una misteriosa entità decide di ribellarsi al dominio di Thelos. Durante un’eclissi inquietante, che oscurò il cielo e risvegliò orrende creature assetate di sangue, questa entità mosse i primi passi nella sua battaglia contro il dio, provocando guerre e instabilità politiche che gettarono il mondo nel caos.

La nostra storia inizia poco dopo questi eventi. Con il mondo ormai in rovina, vestiremo i panni di un Senza Nome, un emarginato destinato a vivere nell’ombra e a essere dimenticato, fino a quando, seguendo il richiamo di una voce misteriosa, entrerà in possesso di un potente manufatto: un guanto magico capace di conferire poteri straordinari, la cui esistenza è avvolta nel mistero e alimentata da leggende antiche e credenze religiose.

La voce appartiene a Nyaal, un essere fatto di energia che ha perso completamente la memoria e che, attraverso il guanto, sarà in grado di comunicare con noi. Per aiutare Nyaal a recuperare i ricordi e svelare i misteri legati al manufatto, i due inizieranno a collaborare, con l’obiettivo di sfruttare i poteri acquisiti per riportare la pace nel mondo.

La trama segue in modo piuttosto lineare il classico tropo dell’eroe prescelto, coinvolto in una missione tanto importante quanto pericolosa, che lo porterà a crescere e a trasformarsi da emarginato a salvatore del mondo.

Un discorso simile vale per la gestione di Nyaal, che assume il ruolo del solito compagno di avventure inizialmente confuso e smarrito, ma che, con l’avanzare della storia, recupererà ricordi e competenze su eventi e storie del mondo di gioco. Questi sviluppi, che si presentano come colpi di scena, ruotano attorno a temi classici come scontri tra antiche divinità, grandi battaglie, ribellioni popolari e carestie.

Tuttavia, si avverte una costante sensazione che ogni evento, sviluppo della trama e avanzamento narrativo dipenda esclusivamente dalle nostre azioni, il che rende il mondo di gioco statico e privo di vitalità. Di conseguenza, i dialoghi con gli altri personaggi si limitano quasi sempre a semplici scambi di informazioni, come se tutti fossero in attesa che i due protagonisti agiscano per risolvere i problemi.

Questa mancanza di consistenza narrativa impedisce al giocatore di immedesimarsi nei protagonisti e di immergersi nelle vicende, che risultano prive di particolare mordente. Inoltre, la scrittura generale non brilla per qualità, con dialoghi spesso sconnessi e illogici. Alcune missioni secondarie, in particolare, si sviluppano in modo così poco sensato da creare situazioni piuttosto imbarazzanti.

Anche il mondo di gioco, con le sue componenti principali, fatica a convincere. Sebbene Atlas offra scenari suggestivi e di impatto, la direzione artistica generale appare poco ispirata, con una quasi totale mancanza di originalità creativa. Le ambientazioni, infatti, si limitano a cittadine, villaggi medievaleggianti e rovine di antiche civiltà abbandonate, elementi già visti in numerose altre opere.

Purtroppo, anche il design dei personaggi risulta piuttosto banale, sia dal punto di vista dei costumi e delle armature, sia per quanto riguarda il design degli Spettri, creature talmente generiche che potrebbero appartenere a qualsiasi altro fantasy.

D’altra parte, nonostante la natura story-driven dell’avventura, la narrazione evita di perdersi in chiacchiere inutili, fornendo al giocatore le informazioni necessarie per comprendere gli eventi, senza cadere in spiegazioni prolisse o digressioni superflue.


GAMEPLAY

Spostandoci sul piano del gameplay, Atlas Fallen si propone come un action in terza persona basato su due componenti fondamentali: il combat system e il traversing.

Partendo dal primo, come detto in precedenza, dovremo vedercela innumerevoli volte con una serie di creature nemiche, e per riuscire a sopraffarle dovremo imparare a sfruttare nel migliore dei modi i poteri del guanto. Più nello specifico, questo ci permetterà di brandire un totale di tre armi di pura energia, con le quali potremo eseguire, come di consueto, attacchi leggeri, pesanti, caricati, in corsa, in salto, e via dicendo.

Ognuna di esse avrà un proprio moveset, e ogni colpo avrà una sua utilità ben precisa: per questo motivo, sarà nostra premura comprenderne le potenzialità per riuscire a concatenarli e creare combinazioni devastanti.

Immancabile anche in questo caso il sistema di controllo relativo alle manovre difensive ed evasive: oltre ai classici dash necessari a schivare determinati attacchi, ve ne saranno altri che potremo contrastare con la parata; se riusciremo ad eseguirne tre in sequenza, il nemico verrà cristallizzato e immobilizzato, dandoci più tempo per infierire ulteriormente.

Ma la meccanica di combattimento più interessante di Atlas Fallen riguarda senza dubbio l’Impeto:
Si tratta di una sorta di barra del mana suddivisa in tre segmenti che si riempirà man mano che infliggeremo danni ai nemici. Una volta raggiunta la prima soglia, e successivamente la seconda, il nostro moveset cambierà sensibilmente, dando alle nostre mosse sempre più potere offensivo, eseguendo un maggior numero di colpi e aumentandone il raggio d’attacco.

Inoltre, sempre in base alla soglia di riempimento della suddetta barra, potremo attivare altri tipi di abilità, come tornadi di sabbia, esplosioni ad area, balzi e attacchi unici, evocazioni, e molto altro, fino ad arrivare a poter eseguire una specie di esecuzione, che consumerà l’intera barra e infliggerà danni ingenti.

Attenzione, però: più alta sarà la soglia di Impeto ottenuta e maggiori saranno anche i danni che subiremo. Di conseguenza, più sarete disposti a rischiare il game over e più alto sarà il vostro potenziale distruttivo; al contrario, potrete anche agire con maggiore cautela, a discapito di un ritmo dell’azione decisamente più lento e statico.

Al tempo stesso, a partire dalle unità base, anche gli spettri avranno determinati assi nella manica con i quali cercheranno di mettervi i bastoni tra le ruote: in particolare, i boss e in generale quelli più potenti avranno più parti del corpo corazzate, che potremo distruggere concentrando su di esse i nostri attacchi.
Anch’essi, per ogni componente fisica rotta, cambieranno sensibilmente le relative animazioni d’attacco, divenendo più aggressivi, rapidi e arrivando in alcuni casi a cambiare forma e a modificare del tutto il proprio moveset.

Per quanto la difficoltà non si attesti mai su livelli di sfida particolarmente alti, questo insieme di meccaniche di combattimento vi porterà sempre e comunque a dover prestare molta attenzione a ciò che sta avvenendo durante lo scontro, poiché, in caso contrario, potreste ritrovarvi più volte del previsto dinanzi alla schermata di game over.

Sotto questo punto di vista, l’opera di Deck13 ricorda molto da vicino i vari capitoli di Darksiders, poiché rinnega a suo modo la componente da stylish action alla Devil May Cry (e quindi un approccio fatto di tecnica e precisione) in favore di un’azione ben più violenta e brutale.

Questo è senza dubbio il più grande punto di forza di Atlas Fallen: le battaglie sono un costante turbinio di dinamicità e intensità, dove le meravigliose coreografie di combattimento spettacolarizzano l’azione e rendono gli impatti consistenti e soddisfacenti, regalando una sensazione di distruzione pad alla mano assolutamente piacevole e liberatoria.

L’intelligente studio dei moveset nemici porta inoltre il giocatore a doversi studiare quali mosse eseguire e in quale ordine, creando vere e proprie “rotation” in puro stile Monster Hunter che, grazie alla meccanica dell’Impeto, rendono il sistema di controllo più che gradevole.

Purtroppo, va segnalato un discreto problema di varietà: per quanto siano spettacolari e dal moveset elaborato, le armi, le abilità e i poteri vari si conteranno sulle dita delle due mani, così come le tipologie delle minacce che ci troveremo ad affrontare, suddivise in macrocategorie abbastanza generiche e prive di una quantità soddisfacente di varianti.

Di conseguenza, ci si ritrova dopo poche ore ad eseguire bene o male le stesse combinazioni contro sempre gli stessi nemici: un gran peccato, dato che le idee alla base del combat system e la loro implementazione ludica funzionano alla grande e dimostrano un potenziale creativo da non sottovalutare.

L’altro grande elemento di gameplay riguarda, come detto in precedenza, il traversing: infatti, le stesse abilità di movimento utili in combattimento saranno ben più rilevanti per l’esplorazione del mondo di gioco e per gli spostamenti in generale.

Finché rimarremo su una superficie sabbiosa, potremo, ad esempio, “surfare” su di essa, il che ci permetterà di coprire velocemente grandi distanze. Il doppio salto, unito alla possibilità di eseguire un totale di tre dash aerei consecutivi, ci farà invece raggiungere anche i luoghi più lontani e apparentemente inaccessibili.


COMPONENTE OPEN WORLD

Ed è proprio in quest’ottica che le ambientazioni di Atlas Fallen assumono un valore ben più consistente.
Nonostante la prevalenza del deserto, gli sviluppatori hanno trovato una serie di pretesti strutturali di natura geologica per offrire costantemente spunti di verticalità: ogni villaggio, cittadina e fortezza, ma anche ogni caverna, collina o promontorio, possiedono elementi ambientali come ponti, scalinate, tetti, rovine e composizioni rocciose che permettono al giocatore di muoversi agevolmente tra gli scenari e visitarne ogni meandro.

Alcuni di questi saranno addirittura nascosti sotto terra, e potremo farli riemergere dal suolo tramite il potere di sollevamento del guanto, per avere ulteriori zone d’appoggio disponibili o anche più semplicemente per rivelare casse sommerse o ricompense nascoste.

Per questo motivo, tralasciando la semplice esplorazione, vi saranno una serie di altre attività in giro per l’open world, come missioni secondarie, incarichi particolari, sfide a tempo, collezionabili da raccogliere e tanto altro, appositamente studiate e posizionate in giro per il mondo di gioco per sfruttare la suddetta strutturalità della mappa.

Anche in questo caso, per quanto le meccaniche di movimento non siano affatto originali, non si può negare che saltare in cielo e librarsi nell’aria fino ad arrivare quasi a volare sia alquanto divertente, il che arricchisce positivamente l’esperienza con quella sfumatura di platforming che non guasta affatto.

A proposito di open world, le attività sopracitate ci permetteranno di ottenere le Pietre d’Essenza, una serie di perk passivi che potremo applicare al nostro personaggio, dando effetti secondari specifici alle nostre mosse di combattimento, ma anche per migliorare determinati aspetti della quality of life esplorativa. Queste potranno essere create e potenziate tramite l’ottenimento di risorse, valute e materiali da trovare in giro per la mappa.

In tal senso, le mappe esplorabili non saranno in alcun caso di dimensioni esagerate, poiché, grazie alla velocità di movimento, riuscirete a navigarle in lungo e in largo in maniera decisamente immediata.

Ad ogni modo, le sopracitate attività secondarie non saranno in alcun modo ingombranti o soverchianti: la mappa non sarà totalmente ricoperta di segnalini o punti interrogativi, e in generale non vi sentirete mai costretti a doverle perseguire a tutti i costi.

Questo rende l’esperienza piacevolmente priva di vincoli, dando al giocatore la possibilità di seguire anche solo ed esclusivamente l’avventura principale, senza avere la sensazione di star perdendo qualcosa. Al contrario, tutti coloro che vorranno dedicarsi al completismo potranno farlo liberamente e senza particolari fronzoli, scoprendo più a fondo storie e racconti o compiendo sfide extra.


REIGN OF SAND

Ed è proprio qui che l’aggiornamento Reign of Sand entra a gamba tesa: oltre alla rivisitazione del doppiaggio di alcuni personaggi e di alcune cutscene, il mondo di gioco si è espanso con una nuova area di gioco, uno spazio onirico inedito all’interno del quale prenderemo il controllo della forma corporea di Nyaal per completare altre sfide e missioni.

Questo ci permetterà, inoltre, di ottenere Pietre d’Essenza che erano assenti nel gioco base, e di conseguenza di ampliare il ventaglio di abilità a nostra disposizione e di migliorare leggermente la componente GDR del titolo. Stesso discorso per la schiera dei nemici che dovremo affrontare, che grazie a Reign of Sand si è arricchita con nuove unità.

L’inserimento di un nuovo livello di sfida e del New Game + completano il quadro e, nonostante la longevità del titolo e le dimensioni della mappa siano abbastanza moderate, riempiono l’esperienza di contenuto, permettendovi di trascorrere qualche ora aggiuntiva tra le dune desertiche di Atlas.

Nonostante tutto ciò rappresenti un importante miglioramento, nonché una dimostrazione di fiducia e buona volontà degli sviluppatori, va detto che tale versione arricchisce l’esperienza senza però stravolgerne le basi: quindi, tutti coloro che hanno apprezzato Atlas Fallen avranno di che divertirsi, ma chi non si è trovato particolarmente bene con la versione base del gioco difficilmente cambierà idea con questa.


COMPONENTE TECNICA E SONORA

Dal punto di vista tecnico, Atlas Fallen si difende tutto sommato più che decentemente: seppur non vi sia mai chissà quale livello di cura dei dettagli, si percepisce uno studio intelligente del sistema di illuminazione, che accende la componente estetica di colori e cromatismi in grado di regalare più di qualche soddisfazione visiva.

Decisamente di buon livello anche l’intera effettistica, dalle animazioni degli attacchi ai particellari relativi a impatti ed esplosioni, che, come detto in precedenza, rendono l’azione assolutamente spettacolare per gli occhi riuscendo, tra l’altro, a mantenere il framerate stabile e il software leggero, dimostrando persino un’ottimizzazione degna di questo nome.

Discorso leggermente diverso per il comparto audio: tralasciando un doppiaggio di buon livello, la colonna sonora e, più in generale, il sound design non fanno molto per dare al giocatore un po’ di soddisfazione uditiva, risultando tendenzialmente basilari e senza particolari meriti.


Ringraziamo Focus Entertainment per averci fornito una chiave per realizzare questa recensione.

Seguiteci sul nostro curatore e sul nostro sito per altre recensioni e articoli in arrivo nei prossimi giorni.

ATLAS FALLEN (PC)
In conclusione...
Per quanto Atlas Fallen non riesca a lasciare il segno in maniera consistente, non posso negare che le ore passate a surfare sulla sabbia e a combattere mostri siano state divertenti e mi abbiano intrattenuto a loro modo.Il combat system è violento e spettacolare, ed è caratterizzato da qualche meccanica inedita decisamente interessante, mentre il traversing riesce a farsi apprezzare grazie ad una dinamicità spiccata, che rende l’esplorazione e la navigazione delle mappe rapida ed immediata, oltre che a dare all’esperienza quel piacevole tocco di platforming.Dall’altro lato, la trama e ed il mondo di gioco lasciano un po’ indifferenti, risultando privi di mordente a causa di una generale piattezza creativa dal punto di vista estetico e concettuale, mentre la componente GDR pecca di profondità e varietà, il che porta l’esperienza a lungo termine a diventare abbastanza ripetitiva.Ad ogni modo, il potenziale c’è e si vede tutto, va solo sfruttato a dovere: la versione Reign of Sand rappresenta sicuramente un passo verso quella direzione; con qualche sforzo in più e la dovuta attenzione, sono sicuro che con un ipotetico Atlas Fallen 2 Focus Entertainment e Deck 13 potrebbero davvero sorprenderci, regalandoci un’esperienza più completa ed ispirata.
Pregi
Spettacolare, divertente e dinamico
Buone intuizioni meccaniche
Open world contenuto e tutt’altro che ingombrante
Difetti
Trama e narrazione poco interessanti
Generalmente poco ispirato
Mancanza di profondità e varietà nel combat system
7.7
Voto