Abbiamo sempre seguito con grande curiosità il percorso svolto da Mundfish con Atomic Heart. Annunciato nell’ormai lontano 2018 con un trailer capace di generare un’ondata di entusiasmo, ma che portava con sé anche un forte scetticismo: un progetto tanto ambizioso da uno studio esordiente poteva davvero mantenere le altissime aspettative? Sembrerebbe proprio di sì, dato che nel 2023, dopo anni di attesa, il gioco ha finalmente visto la luce ricevendo un’accoglienza tutto sommato positiva.
Certo, non mancavano difetti inevitabili per un’opera prima (come abbiamo evidenziato anche nella nostra recensione del gioco base), ma gli sviluppatori sono comunque riusciti a plasmare quell’esperienza action-adventure RPG promessa, al punto di guadagnarsi persino il nomignolo di “Bioshock russo”, titolo dal quale avevano effettivamente anche preso ispirazione.

Da lì, la storia è proseguita qualche mese dopo con il primo dei quattro DLC previsti, Annihilation Instinct, che ha letteralmente diviso la fanbase tra chi ne apprezzava la sfida proposta e chi invece lo considerava un semplice “more of the same”, seguito poi da Trapped in Limbo, un esperimento che forse è meglio dimenticare (qui trovate la nostra recensione).
Insomma, è palese come in questo alternarsi di alti è bassi lo studio Mundfish stia ancora cercando la propria identità, oscillando tra la volontà di innovare e la paura di osare troppo.
O almeno, così fino a oggi. Infatti, con il loro penultimo DLC previsto, Enchantment Under the Sea, sembra che siano finalmente riusciti a trovare la giusta direzione, con un prodotto che si pone come la diretta evoluzione sia della narrazione che del gameplay. Ma sarà davvero così?
Scopritelo nella nostra recensione di questa terza espansione!
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STRUTTURA NARRATIVA
Prima di addentrarci nella trama, è doveroso un avvertimento: Enchantment Under the Sea si colloca temporalmente dopo la conclusione del gioco base, contenendo pertanto non pochi spoiler per la storia.
Vi consigliamo quindi, per chi non l’avesse già fatto, di completare almeno la campagna principale prima di proseguire nella lettura di questo articolo.

Riprendendo direttamente dal punto in cui si era concluso il precedente DLC, questa volta Enchantment Under the Sea ci porta finalmente ad affrontare le reali conseguenze del finale canonico di Atomic Heart.
Nessuna storia alternativa o viaggio nella coscienza: la trama prosegue dallo stesso edificio in cui si è svolta la battaglia finale, con il maggiore Nechayev ancora sulle tracce del suo vecchio amico e compagno CHAR-les.
Stavolta, però, non siamo soli, e ad accompagnarci troviamo Katya, nostra moglie, ora integrata come intelligenza artificiale nel guanto ormai lasciato vuoto.
L’obiettivo è quindi chiaro: recuperare i due anelli coniugali lanciati precedentemente negli abissi marini, che rappresentano l’unico modo per impedire a Zakharov di ottenere il controllo assoluto dell’intero mondo.
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Da qui, Enchantment Under the Sea segue una struttura piuttosto lineare e priva di grandi colpi di scena per tutta la sua breve durata, ma riesce comunque a risultare piacevole e coinvolgere grazie alla lore del mondo di gioco, che vediamo ancora una volta ulteriormente ampliata.
La nostra missione ci conduce infatti all’interno di una complessa struttura sottomarina che richiama l’iconica Rapture di Bioshock, pur distinguendosi notevolmente per la costruzione degli ambienti, come vedremo più avanti.
Ma il vero punto forte della narrazione risiede nella scrittura dei suoi dialoghi, in particolare nelle interazioni tra il nostro protagonista e sua moglie che, dobbiamo dirlo, rappresenta un enorme passo avanti rispetto ai precedenti comprimari del maggiore P-3.
Katya, in netto contrasto con la sua versione vista in Trapped in Limbo, si presenta ora con un carattere più freddo e passivo-aggressivo, dando vita non solo a scambi interessanti e divertenti ma anche a una dinamica coinvolgente che si evolve costantemente lungo il DLC.
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A questo si aggiunge poi un umorismo più efficace e ben dosato, con continue citazioni alla cultura pop che sanno come strappare anche più di un sorriso senza mai risultare forzate. Insomma, l’aspetto comico è notevolmente migliorato e il duo protagonista brilla grazie a una scrittura solida, che esalta l’intera esperienza anche quando il resto del cast non riceve lo stesso trattamento qualitativo.
Peccato solo che, ancora una volta, il gran numero di dialoghi non ha tempo di respirare e, nel caso dovessimo attraversare un’area chiave troppo in fretta, potremmo interrompere bruscamente una conversazione rischiando di perdere anche dettagli narrativi importanti.
Questo ci ha costretti a fermarci all’inizio di tutti i dialoghi, nel timore di perdere informazioni cruciali e indirettamente spezzando così anche il ritmo dell’avventura ogni qual volta qualcuno aprisse bocca.
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GAMEPLAY
Allo stesso modo, anche il gameplay segue la stessa formula già vista in passato ma con alcune migliorie e, purtroppo, anche con il ritorno di vecchi problemi.
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Le sezioni platform che avevano tanto caratterizzato il secondo DLC, vengono quasi del tutto abbandonate per lasciare spazio a ciò che Atomic Heart sa fare meglio: affrontare scontri brutali e caotici contro creature meccaniche e mutanti, con un focus tornato sull’azione frenetica che esalta la componente shooter e il combattimento corpo a corpo.
Il lupo perde il pelo..
Fate attenzione però, perché Enchantment Under the Sea non si limita semplicemente a riproporre il gameplay già conosciuto, ma introduce anche alcune novità interessanti nella forma di nuove armi e abilità. Ma procediamo con ordine.
Nel nostro arsenale potremo ora contare sul Rombotuono, un distruttivo martello con la capacità di estendersi al costo di un po’ d’energia, e un potente fucile che spara colpi energetici devastanti, ideale per gestire gruppi numerosi di nemici. Entrambe si rivelano aggiunte ben riuscite, capaci di rendere lo stile di combattimento ancora più divertente.
Le nuove abilità, invece, ci hanno convinto solo in parte. La prima è una frusta che non solo ci consentirà di attirare i nemici (o avvicinarci a loro) ma anche di spostarci velocemente nell’ambiente, sebbene il suo utilizzo sia limitato a sezioni di puzzle piuttosto semplici anche se a volte frustranti a causa di comandi non sempre reattivi. D’altra parte troviamo un prepotente attacco di fuoco, utile per eliminare rapidamente i nemici e aprire passaggi bloccati.
Due novità che tutto sommato abbiamo apprezzato per il loro aggiungere una buona dose di varietà al gameplay, ma che non possiamo dire di averle trovate così essenziali da preferirle ad altre abilità ben più utili della campagna principale, la cui assenza si è fatta onestamente sentire.
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Ma la vera svolta di questa espansione, che la differenzia notevolmente dal resto del gioco, si trova nella sua struttura dei livelli. Abbandonando completamente l’aspetto open world della campagna principale, ampiamente criticato in passato, il DLC opta invece per un’impostazione più lineare con una componente esplorativa minima.
Da un lato si tratta sicuramente di una scelta vincente, dato che valorizza i combattimenti portando a un gameplay più frenetico che mai, ma dall’altro accentua una certa ripetitività. I pochi enigmi presenti non bastano a spezzare il ritmo, lasciando la sensazione di attraversare semplicemente lunghi corridoi tra un combattimento e l’altro.
Nonostante ciò, il pacing più serrato e l’azione continua rendono l’esperienza proposta nel complesso molto scorrevole, senza mai risultare davvero pesante anche grazie alla durata contenuta del DLC di appena 3-4 ore.
..ma non il vizio
Eppure, sembra che lo studio Mundfish non abbia ancora imparato come portare davvero al massimo il potenziale del proprio gameplay, vista la presenza anche in questa espansione degli stessi difetti che avevano già compromesso l’esperienza nel gioco base, immutati e impossibili da ignorare.
E ancora una volta ci ritroviamo così con comandi poco intuitivi, movimenti legnosi e animazioni d’attacco macchinose, rendendo alcune sezioni di gameplay inutilmente frustranti, specie quando si aggiungono anche fasi platform non perfettamente implementate.
In particolare, è davvero assurdo che esistano ancora avversari capaci di incastrarci in un angolo senza lasciare via di fuga, colpendoci ripetutamente senza che possiamo reagire, soprattutto quando sarebbe bastato qualche frame d’invincibilità per rendere la situazione più gestibile.
Non va di certo meglio con il nuovo rampino introdotto che, mentre sulla carta dovrebbe essere un prezioso strumento per fuggire dagli scontri, specie contro i boss, la richiesta di una precisione eccessiva e mai del tutto chiara lo rende spesso inutile, distraendo più che aiutando mentre gli attacchi nemici continuano a pioverci addosso.
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Non poteva anche mancare una curva di sfida che non riesce ancora a trovare il giusto equilibrio, con le difficoltà più elevate che sembrano pensate solo per i giocatori più esperti mentre quelle più basse risultano fin troppo semplici, svuotando il gioco di ogni tensione e sommergendoci di cure ad ogni occasione.
Lungi dal voler affermare che queste criticità rendano il DLC un disastro, è impossibile tuttavia non rimanere delusi nel vedere come, nonostante le numerose critiche ricevute, questi problemi sembrano essere rimasti del tutto inascoltati.
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COMPARTO ARTISTICO
Se c’è un aspetto su cui Atomic Heart non ha mai deluso, nemmeno nei suoi momenti più discutibili, è sicuramente quello grafico e artistico, con una costruzione del mondo che ha sempre saputo regalarci scenari mozzafiato. E mentre anche in Enchantment Under the Sea, almeno inizialmente, possiamo ammirare panorami spettacolari in mezzo al caos distopico che da sempre caratterizza il gioco, una volta scesi nelle profondità marine, quella magia visiva che ci aveva accompagnato fino a quel punto sembra svanire.
Forse il problema è anche il confronto inevitabile con Bioshock, un classico senza tempo capace di elevare le ambientazioni sottomarine come mai nessun’altro titolo è riuscito, ma la verità è che l’ambientazione proposta in questa espansione appare spenta, monotona e poco ispirata.
I corridoi e le stanza si ripetono costantemente senza variazioni significative tra loro, facendoci iniziare a rimpiangere quegli scenari aperti e i colori surreali del Limbo, e per quanto ci abbiamo sperato, non c’è stato un solo momento in cui il design di questa nuova area sia riuscito davvero a stupirci.
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L’unica eccezione è rappresentata dalle creature robotiche acquatiche e dai granchi mutanti, che mantengono quel design orrorifico così distintivo ed efficace che contraddistingue l’opera originale.
Peccato che questo elemento non sia stato maggiormente sfruttato, con solo una brevissima sessione effettivamente sott’acqua che, paradossalmente, è stata anche la più interessante dal punto di vista artistico.
Discorso ben diverso va invece dedicato al comparto sonoro, che ancora una volta si dimostra all’altezza delle aspettative. Il doppiaggio risulta perlopiù eccellente, con un evidente impegno da parte degli attori coinvolti, mentre la colonna sonora si adatta perfettamente al ritmo frenetico di questo DLC, enfatizzandone l’azione nei momenti giusti.
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COMPARTO TECNICO
Anche questa volta, il gioco riesce a mantenersi stabile e fluido senza eccessivi cali di framerate, se non per qualche piccolo e sporadico scatto nei momenti più concitati.
Per il resto, l’esperienza tecnica rimane sostanzialmente invariata rispetto a quanto già visto precedentemente con la nostra recensione del gioco base.
Piuttosto, vorremmo concentrarci su due aspetti che, a nostro parere, meritano un maggiore approfondimento.
Il primo riguarda il supporto al controller, che ancora una volta si conferma terribile sotto ogni singolo punto di vista. Non solo i comandi risultano eccessivamente limitati per tutte le funzioni di gioco presenti, costringendo ad effettuare combinazioni di tasti scomode e macchinose, ma manca persino la possibilità di modificarli o anche solo consultarli in un menu dedicato.
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Basti pensare come per esempio il rampino, essenziale per alcune boss fight (inclusa quella finale), condivide lo stesso tasto dell’attacco polimerico di fuoco e per alternarli bisogna passare manualmente attraverso un altro pulsante, rallentando inutilmente l’azione in momenti in cui la rapidità è fondamentale.
Fortunatamente, questi problemi non si presentano con mouse e tastiera, ma resta comunque limitante non poter sfruttare il pad senza compromettere l’esperienza di gioco.
Il secondo aspetto di cui vorremmo parlarvi, riguarda invece un curioso bug che ci è capitato durante il nostro provato che però, va detto, potrebbe essere stato un caso isolato.
Mentre esploravamo un’area per risolvere un enigma ambientale, siamo riusciti involontariamente, grazie all’uso del rampino, a saltare un’intera sezione di gioco. Ovviamente, il sistema non era pronto per gestire questa eventualità e continuava a indicarci di tornare indietro, anche quando ormai non era più possibile. Fortunatamente, nonostante l’assenza di un indicatore, siamo riusciti a proseguire e, una volta raggiunta la successiva area di gioco, il problema sembrava essersi risolto senza ulteriori conseguenze.
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Si tratta alla fin dei conti di un bug minore che non ci ha rovinato l’esperienza (anche se inizialmente abbiamo temuto di dover ricominciare tutto da capo), ma evidenzia ancora una volta come il rampino non sia perfettamente bilanciato. La facilità con cui siamo riusciti a “rompere” il gioco senza volerlo ci fa sorgere effettivamente una domanda: se ci siamo riusciti noi senza nemmeno provarci, quanto potrebbe essere semplice per qualcuno che cerca attivamente di bypassare intere sezioni e raggiungere aree avanzate prima del tempo?
Ringraziamo Focus Entertainment per averci fornito una chiave del gioco per realizzare questa recensione.
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