È passato praticamente un anno da quando Atomic Heart, opera prima di Mundfish, ha fatto il suo debutto nel mercato videoludico: dopo esser stato etichettato come “il Bioshock russo”, si è guadagnato il favore del pubblico, grazie soprattutto a una curatissima costruzione del mondo di gioco e alla sua estetica di assoluto valore.
Già al tempo venne inoltre confermato un supporto post-lancio abbastanza esteso, con l’annuncio di un totale di 4 DLC a stampo narrativo che avrebbero visto la luce nel corso degli anni successivi e che sarebbero stati accessibili ai possessori della Gold Edition (o dell’Atomic Pass, acquistabile separatamente).
Ebbene, il primo di questi (chiamato Annihilation Instinct) ha approfondito le vicende di NORA, la perversa IA che avevamo avuto modo di conoscere durante il gioco base: da poco, invece, è stato rilasciato “Trapped in Limbo”, che aveva promesso di offrire un approccio totalmente diverso rispetto a quanto visto finora.
STRUTTURA DI GIOCO
Come suggerito dal titolo, le premesse di questo segmento narrativo partono da una base concettuale alquanto particolare: il compagno Maggiore P3 si risveglia, per qualche motivo, all’interno del Limbo, un mondo onirico fuori dallo spazio e dal tempo, denso di follia ed astrattismo.
Nei suoi panni, pur non avendo in realtà un obiettivo chiaro, dovremo attraversare questi ambienti seguendo una serie di percorsi e circuiti sempre più assurdi ed inaspettati: qui risiede quella che è a conti fatti la grande particolarità di Trapped in Limbo, dato che a differenza di quanto visto nel gioco base, la componente da shooter verrà messa totalmente in secondo piano per dare spazio a meccaniche di gameplay del tutto nuove, principalmente basate sul movimento.
Infatti, l’intero contenuto sarà strutturato “a stage”, per ognuno dei quali saranno previsti metodi di attraversamento e spostamento differenti.
GAMEPLAY
Questi prendono spunto da meccaniche derivanti da altri titoli di natura platform, come il surfing/skating su superfici scivolose, arrampicate e scalate in puro stile Only Up, piattaforme sul quale saltellare e rimbalzare con tanto di trappole e pericoli ambientali a la Fall Guys e persino uno strambo inseguimento su binari ripreso da titoli mobile come Subway Surfer e Temple Run.
Purtroppo, nonostante vada apprezzato il coraggio di Mundfish nel giocare con la componente ludica con aggiunte effettivamente strambe ed inaspettate, va detto che la loro implementazione puramente meccanica non riesce a convincere quasi per nulla.
La particolarità del gameplay del titolo base stava proprio nella lentezza e nella pesantezza del combat system, che faceva sentire a fondo ogni colpo inflitto ma anche subìto, e che rinnegava quasi completamente ogni forma di dinamicità: con questa premessa, trovo alquanto ingenuo che abbiano deciso di creare un intero contenuto appositamente basato su sfide e sequenze prettamente platform, derivate da titoli spiccatamente arcade.
Ahimé c’è poco da fare, tale idea cozza veramente tanto: non appena ci si approccia al primo di questi minigiochi ci si rende immediatamente conto di quanto sia tutto molto ingessato, scomodo ed inadatto, il che rende frustrante e fastidioso quello che è di fatto il “concept del party game”, che al contrario dovrebbe essere divertente ed immediato.
TRAMA E NARRAZIONE
Ma anche volendo mettere in secondo piano tutto ciò per dare spazio alla componente narrativa non si riesce a uscirne soddisfatti, dato che anche quest’ultima risulta a malapena abbozzata e tutt’altro che in linea con quanto visto nel gioco base ed in Annihilation Instinct.
Gli unici spunti di trama che vengono esplicati riguardano il rapporto tra il protagonista e la defunta moglie Katya con qualche sporadica linea di dialogo che pecca di mordente o chissà quale rivelazione.
Al contempo è proprio nel momento in cui si ha l’idea di arrivare ad un punto di svolta nella trama che ci si ritrova dinanzi ai titoli di coda e a un insoddisfacente “to be continued”: alla fine quindi, l’intero contenuto narrativo sembra un debole pretesto per farci passare qualche ora nel Limbo, piuttosto che di un approfondimento alla storia e agli eventi di background che un’ambientazione così densa di suggestioni e mistero avrebbe meritato.
ART E SOUND DESIGN
In tal senso, va detto che almeno la componente artistica svolge il suo lavoro in maniera più che dignitosa: il Limbo è infatti rappresentato come un immenso spazio infinito denso di strambi edifici e composizioni strutturali a tema dolciario che svolazzano nel cielo, come castelli di cioccolato, giardini colorati pieni di zucchero filato, case a forma di torta e tutta una serie di altri elementi estetici semplicemente assurdi.
Ognuno di questi luoghi sarà a sua volta piacevolmente pieno di dettagli, e ognuno di questi, dal più piccolo al più grande, vi farà venire continuamente voglia di guardarvi attorno ed esplorare con minuzia ogni tratto per godere appieno di quell’insieme di forme e figure talmente surreali da lasciare a bocca aperta, tra scheletri di gomma che ballano, pupazzi e giocattoli animati.
Almeno in questo senso, Trapped in Limbo riesce nell’intento di dare valore a tutte quelle sensazioni di disagio ed inadeguatezza tipiche dello stile dreamcore.
A ciò si affianca una colonna sonora dirompente, fatta di suoni e musicalità spinte che si adattano perfettamente a quella assurda atmosfera, specialmente in determinate sequenze.
Per chi fosse interessato, a breve verrà inoltre pubblicata sul sito una recensione del gioco base di Atomic Heart.
Ringraziamo Keymailer e Mundfish per averci fornito una chiave del gioco per realizzare questa recensione.
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