Recensione Inayah: Life after Gods – la “Vita dopo gli dei” non è un granchè!

Come da previsioni, il 2025 si sta rivelando una delle annate più ricche dal punto di vista videoludico degli ultimi anni, se non addirittura di sempre: in questo primo quadrimestre, abbiamo assistito all’uscita di grandi titoli come Monster Hunter Wilds, Kingdom Come: Deliverance 2 e l’ultimo Assassin’s Creed Shadows, giusto per citarne alcuni.

Ma chiunque esplori i meandri più nascosti dei vari store sa bene quanti altri titoli minori vengano rilasciati quotidianamente: il gioco di cui parleremo oggi si intitola Inayah: Life after Gods, presentato con il trailer di lancio al recentissimo Future Game Show, segnando l’esordio di un nuovo studio di sviluppo, Exogenesis.

Dopo svariate ore passate in quel mondo selvaggio, siamo pronti per raccontarvelo!


Trama e narrazione

Il tutto è ambientato in un mondo post-apocalittico di stampo retrofuturistico, dove la natura si è ripresa con la forza ambienti che, nei secoli, gli uomini hanno contaminato con strutture tecnologiche ed immensi macchinari industriali. Emerge quindi un sottotesto di natura religiosa, che ha portato la popolazione a radunarsi in piccole tribù in base al relativo credo, dal quale si intravede l’esistenza di ipotetiche divinità e figure mitologiche che un tempo governavano queste terre.

La protagonista è proprio Inayah, una giovane donna che, in tenera età, vide morire suo padre davanti ai propri occhi per mano di alcune forze armate ignote, apparentemente di una tribù nemica. Dopodiché, entrando in possesso di un guanto speciale di origini sconosciute, affidatole dal padre come “manufatto” da tramandare di generazione in generazione, otterremmo dei poteri davvero fuori dal comune.

Con l’aiuto di Khonsu, un vecchio amico che ci apparirà di tanto in tanto sotto forma di ologramma per darci qualche consiglio, dovremo farci strada in questa terra ostile, non solo per andare alla ricerca degli assassini di nostro padre, ma anche per ricongiungerci con la gente della nostra tribù.

Durante il viaggio, ovviamente, faremo la conoscenza di una moltitudine di personaggi, grazie ai quali avremo modo di approfondire vicende di natura loristica, come leggende ed avvenimenti che riguardano proprio questi fantomatici dèi, e sulle conseguenze che questi hanno portato nel mondo, tra usanze e tradizioni, ma anche conflitti ed ostilità che si sono stabiliti nel tempo.

Purtroppo, in termini narrativi Inayah: Life after Gods rappresenta un gigantesco buco nell’acqua sotto pressoché ogni punto di vista. Sin dall’incipit avevamo già notato una certa mancanza di consistenza nell’esposizione della trama, che si appoggia praticamente del tutto su basi tematiche e concettuali già viste altrove in forme ben più smaglianti di questa.

Che sia per le motivazioni della protagonista, per l’entità delle rivelazioni relative al mondo di gioco o per il semplice progredire della trama, non vi è stato un singolo elemento che ci abbia invogliato a seguire con interesse o curiosità le vicende, proprio a causa di una mancanza di fascino e carattere evidente, il che ne appiattisce il valore narrativo e ne scarta sin da subito il potenziale. Assieme a ciò va segnalata una pessima gestione dei dialoghi, che invece di riuscire a farsi prendere sul serio risultano inutilmente lunghi e logorroici, al punto che potrebbe capitarvi di iniziare a volerli saltare per passare direttamente alle fasi di gameplay.

La sensazione è che, essendo uno studio di sviluppo appena nato, manchi un po’ di esperienza nella direzione artistica, che avrebbe potuto far respirare quel mondo con suggestioni e ispirazioni d’impatto quantomeno in termini estetici, cosa che in questo caso non succede.


Gameplay e struttura

Spostandoci sul piano del gameplay, Inayah: Life after Gods si pone come un metroidvania bidimensionale abbastanza classico, focalizzato su alcune meccaniche in particolare: quelle relative al movimento. Oltre alle solite mosse come la rotolata, il doppio salto ed il dash, gli strumenti sui quali si appoggia la componente platform saranno delle vere e proprie armi. Per farla breve, ognuna di esse avrà uno spunto di interazione unico con alcuni degli elementi dello scenario, che, se messi in sequenza, ci permetteranno di esplorare pressoché ogni angolo di gioco, anche quelli apparentemente irraggiungibili.

Se con le lame potremo “rimbalzare” sulle superfici spinose, grazie ai “pugni” avremo la possibilità di aggrapparci ad alcune pareti scivolose, mentre i poteri della mazza ci permetteranno di usarla come “rampino” e di sfruttare alcuni dispositivi sospesi come slancio per librarci nell’aria. Ovviamente, all’inizio avremo a disposizione solo una di queste, mentre le altre due verranno sbloccate con il progredire dell’avventura.

La peculiarità di questo sistema, nella forma abbastanza classica, sta nel fatto che per “attivare” le suddette modalità di movimento dovremo cambiare manualmente l’arma equipaggiata in base al tipo di interazione ambientale richiesto. Ciò implica il fatto che, per superare una certa zona, dovremo innanzitutto comprendere la sequenza di mosse da fare per poi eseguirle nella maniera e nell’ordine corretto ruotando la selezione dell’arma ed alternandola con le varie abilità.

Questo rappresenta senza ombra di dubbio l’aspetto più interessante dell’intera produzione, in quanto implementa in un impianto metroidvania un sistema di movimento “hardcore”, solitamente appartenente a titoli platform puri come Celeste. Infatti, nonostante all’inizio possa sembrare tutto molto scomodo e disfunzionale, non appena prenderete confidenza con tali meccaniche riuscirete in un batter d’occhio a padroneggiarle e a muovervi con grazia negli ambienti di gioco.

Insomma, il sistema di movimento rende alquanto soddisfacente l’esplorazione, non tanto per l’entità delle ricompense da essa fornite, ma per il senso di gratificazione nell’esser riusciti a superare ostacoli o raggiungere luoghi che, ad una prima occhiata, sembravano ingestibili. Il merito va anche all’ottima gestione dei comandi e del sistema di controllo, che permette di muovere il personaggio con grande fluidità e precisione.

Purtroppo però, tutto ciò non riesce ad incastrarsi particolarmente bene con il level design, a causa di una gestione abbastanza pigra ed ingenua del posizionamento delle piattaforme e degli elementi “di appoggio” delle varie mappe, che risultano a loro volta troppo poco elaborate in termini puramente strutturali. Inoltre, vi sono numerosi problemi in quelle che sono le logiche di avanzamento nella mappa, a causa di un’impostazione delle missioni e della direzionalità degli obiettivi confusa e scomoda, oltre al fatto che spesso e volentieri ci incastra in punti e vicoli ciechi “non previsti”, costringendo il giocatore a dover per forza chiudere il gioco e ricaricare il salvataggio.

Questo è senza dubbio un gran peccato, dato che impedisce al sopracitato sistema di movimento di mostrare il suo vero potenziale, il che rappresenta nella maggior parte dei casi uno spreco abbastanza importante per la godibilità dell’esperienza esplorativa. Nonostante ciò, tale componente rimane comunque più che piacevole anche solo per la sua immediatezza e, in generale, per i meccanismi che la regolano.

Combat system

Ma, ahimè, non si può certo dire lo stesso del sistema di combattimento.
Come accennato in precedenza, le armi disponibili sono tre, ognuna con un proprio set di attacchi e abilità, attivabili tramite una sorta di barra del mana. Tra una sequenza platform e l’altra, ci troveremo quindi ad affrontare una schiera di nemici poco ispirata, composta da piante carnivore, animali aggressivi simili a dinosauri e strani guerrieri primitivi armati di fionde e lance.

Oltre a essere posizionati in modo spesso insensato nelle mappe di gioco, questi avversari vantano un’intelligenza artificiale piuttosto scarna, limitandosi a correre avanti e indietro e ad attaccare a vista in maniera quasi comica. A tutto ciò si aggiunge il fatto che, per dirla senza mezzi termini, combattere non è né divertente né stimolante. Le armi e le relative abilità hanno moveset e modalità di attivazione poco interessanti, che si integrano male nel ritmo degli scontri, rendendoli sgradevolmente irregolari.

La presenza di alberi delle abilità unici per ogni arma non migliora la situazione, dato che i potenziamenti si limitano a semplici incrementi numerici, senza modificare in modo significativo l’approccio al combattimento. Di conseguenza, anche le bossfight seguono la stessa linea, offrendo scontri tutt’altro che memorabili o soddisfacenti. Il bilanciamento del gioco risulta inoltre discutibile, alternando sezioni prive di difficoltà a picchi improvvisi e ingiustificati.

Personalmente, avremmo preferito che il team di Exogenesis si fosse concentrato esclusivamente sull’anima platform del gioco, anziché contaminare l’esperienza con elementi di gameplay così confusi e fuori fuoco.


Comparto tecnico e sonoro

In tutto ciò, va detto che almeno a livello tecnico Inayah: Life after Gods se la cava tutto sommato decentemente: nonostante una varietà delle ambientazioni abbastanza scarsa e una massiccia ripetitività di texture e modelli vari, la pura realizzazione estetica riesce a regalare diverse soddisfazioni visive, grazie a una cura notevole nella resa dei disegni, dei colori, delle animazioni e dell’effettistica in generale.
Buona anche la componente sonora che, seppur non proponga temi musicali di chissà quale impatto, accompagna con successo il giocatore per l’intera esperienza.

Interessante anche il fatto che, nonostante si tratti di un titolo indie a basso budget, ogni dialogo di ogni personaggio sia stato doppiato, anche in maniera discretamente riuscita. A conti fatti, questo non rappresenta nulla di particolarmente sorprendente, ma, dato il livello qualitativo generale dell’opera, è sicuramente un pregio da non sottovalutare.


Ringraziamo PressEngine per averci fornito una chiave del loro gioco per realizzare questa recensione.
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Inayah: Life after Gods (PC)
In conclusione...
Inayah: Life after Gods rappresenta la prima prova di un team al debutto, il che, ahimè, si nota immediatamente. Il metroidvania tirato su da Exogenesis soffre infatti di una marea di ingenuità e distrazioni varie per quanto riguarda l'intera componente narrativa ma anche e soprattutto per gli aspetti ludici e di puro game design: dal combat system al bilanciamento della difficoltà, dal map/level design alla gestione dei ritmi di gioco. Ovviamente, non è tutto da buttare, infatti il particolare sistema di movimento rende piacevole e stimolante la componente platform, così come la componente audiovisiva riesce a modo suo a regalare soddisfazioni sensoriali tutt'altro che scontate. Ovviamente c’è sempre tempo e modo per migliorare, e nel caso in cui venisse annunciato un secondo capitolo, saremmo pronti e curiosi di provarlo.
Pregi
Sistema di movimento peculiare e soddisfacente
Visivamente gradevole
Difetti
Narrativamente carente
Combat system e gestione della difficoltà totalmente da rivedere
Una valanga di problemi di game design
6
Voto