Uno dei generi più rari nel panorama videoludico è senz’altro quello riservato alle opere che fanno della comicità il loro punto di forza, ancor di più quando miscelata con le radici culturali di un paese come la Gran Bretagna.
È questo il caso di Thank Goodness You’re Here!, piccolo progetto a cura del team Coal Supper ed edito da Panic!, che ci immerge in una caotica rappresentazione dell’Inghilterra degli anni ’80.
Amato unanimemente dal pubblico, il titolo sembra anche aver conquistato la critica internazionale grazie alle sue indiscutibili unicità.
E noi, cosa ne pensiamo?
Scopritelo nella nostra recensione!
Incipit e narrazione
In Thank Goodness You’re Here! interpreteremo un piccolo uomo d’affari giallo in visita alla cittadina inglese immaginaria di Barnsworth, situata nel nord dell’Inghilterra degli anni ’80.
Essendo in coda per un colloquio con il sindaco, verremo informati del prolungarsi dell’attesa a causa di alcuni imprevisti e decideremo di fare un giretto per passare il tempo.
Una volta usciti dal municipio, verremo immediatamente accolti dal primo di tantissimi incontri comici e surreali con personaggi che incarnano alla perfezione gli archetipi della società inglese. Gli esempi sono moltissimi, ed ognuno riesce ad essere più dissacrante e genuino dell’altro, merito anche e soprattutto di una scrittura dei dialoghi davvero impeccabile, che cattura gerghi ed espressioni tipiche per realizzare qualcosa di estremamente originale.
In tal senso, i personaggi possono giovare di un doppiaggio di altissima qualità, contando nel cast talenti indiscutibili del calibro di Matt Berry (Laszlo Cravensworth in What We Do in the Shadows).
Facendosi forza di un numero elevato di soggetti ricorrenti, TGYH riesce a trasmettere in pieno l’illusione di una cittadina viva e realistica, a prescindere dalla comicità spiccatamente assurda e surreale.
Ed è così che, nonostante la nostra sensibilità comica sia chiaramente molto differente da quella inglese, è impossibile non farsi catturare almeno un minimo dall’ironia e dalle situazioni fuori di testa di cui ci troveremo protagonisti. Volendo puntualizzare, la natura estremamente “nordica” di quest’opera autoriale è talmente radicata da lasciar spazio all’introduzione dei sottotitoli in dialetto locale, forse il modo migliore per giocare ma chiaramente non per tutti (i sottotitoli in italiano non sono disponibili).
E quando il gioco rischia di fare il passo più lungo della gamba in termini di durata, intorno alla terza ora di gioco, arriva una conclusione che si conferma come il miglior climax possibile.
Tre ore non sono molte per lo standard delle opere videoludiche moderne, tuttavia, l’esperienza in esame è talmente improntata sulla narrazione che, a nostro avviso, andare oltre avrebbe sfigurato.
Gameplay
Il gameplay di TGYH è quanto di più semplice si possa immaginare, potendo soltanto camminare, saltare e colpire gli oggetti dello scenario.
Nonostante questo set di azioni sia piuttosto limitato, ogni elemento a schermo sarà interagibile e risponderà in qualche modo ai nostri pugni, che sia con un dialogo, un grugnito o l’alterazione animata del disegno.
Interagendo con i vari personaggi ed esplorando le zone della città, verremo coinvolti in una serie di eventi assurdi e insoliti, molti dei quali richiederanno il nostro intervento per essere risolti. Il nostro omino sembra infatti improvvisarsi come un abile tuttofare, giustificando pienamente l’espressione chiave, nonché titolo del gioco, “Thank Goodness You’re Here!”.
La mappa non è poi molto grande ed il game design ci guiderà con estrema linearità attraverso un loop di scenari che continueranno a ripetersi fino alla conclusione. Questa ripetitività, seppure alleviata dalle trasformazioni e variabili del caso, potrebbe rivelarsi un fattore negativo per i giocatori più esigenti.
Per gli amanti delle attività secondarie, il titolo offre una discreta dose di achievements da ottenere attraverso specifiche interazioni, talvolta piuttosto inaspettate. Anche in questo caso, mentiremmo se dicessimo che il titolo ci ha dato i giusti presupposti per essere ricominciato, segno di una rigiocabilità non proprio entusiasmante.
In sostanza, ci troviamo di fronte a un titolo che non fa di certo del gameplay la sua specialità, relegandolo piuttosto al servizio degli strumenti narrativi che lo rendono un’esperienza più unica che rara.
Comparto artistico e tecnico
Uno degli aspetti più apprezzabili dell’esperienza realizzata da Coal Supper è senza dubbio la sua resa artistica, implementata alla perfezione nel suo contesto comico.
Lo scenario, così come i personaggi e gli oggetti che lo decorano, sembrano far parte di una vignetta satirica, assumendo la tanto desiderata immortalità estetica che solo i giochi di questo tipo possono permettersi.
È la semplicità e naturalezza con cui gli elementi a schermo si animano per creare uno scenario completamente interattivo che stupisce maggiormente, testimoniando un lavoro creativo semplicemente eccezionale da parte del team e dei suoi collaboratori. Per carità, che lo stile possa piacere o meno rimane un fattore personale, ma è assolutamente innegabile che questo sprigioni un carisma molto ricercato e che rimanga coerente a se stesso dall’inizio sino ai crediti conclusivi.
La stessa cura è stata trasmessa al comparto sonoro, che al già ottimo doppiaggio unisce una colonna sonora piena di carattere, seppur limitata.
Infine, da un punto di vista meramente tecnico, l’utilizzo del motore Unity è sostanzialmente impeccabile, non lasciando spazio a bug e instabilità di sorta e offrendo il massimo anche su console handheld dalla potenza limitata come Steam Deck.
Ringraziamo Popagenda PR per averci fornito una chiave del gioco per realizzare questa recensione.
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