Recensione Tomb Raider IV-VI Remastered – Un ritorno di fiamma fra classici ed insuccessi

Se la storia dei videogiochi dovesse venire sintetizzata in un documento da destinare alle civiltà del futuro, un posto d’onore andrebbe senza dubbio dedicato alla mai dimenticata eroina Lara Croft, protagonista di una quantità innumerevole di titoli fra mainline, spinoff, remake, reboot e remastered.

La storia del brand di Core Design ed Eidos non è priva di scivoloni e fallimenti, ma nel tentativo di preservare una pagina importante della nostra storia in quanto medium, anche questi andrebbero celebrati e resi accessibili al nuovo pubblico.

Il progetto di remasterizzazione portato avanti da Aspyr Media, una casa di sviluppo specializzata in questo tipo di operazioni, si è già dimostrato all’altezza delle aspettative l’anno scorso con i primi 3 amatissimi capitoli della saga.  Nella recensione di oggi, grazie ad una generosa anteprima offertaci dal publisher, possiamo parlarvi dello step successivo, quello che coinvolge Tomb Raider IV-V e VI e che ci proietta verso i titoli più recenti.

Siete pronti a tornare nei panni di Lara?
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Trama

Che siate appassionati della saga oppure novellini esploratori al primo approccio con la serie, probabilmente conoscete già le gesta di Tomb Raider.
Non di meno, chi ha avuto accesso alla saga dopo il fantastico reboot del 2013, si deve aspettare una Lara molto più matura e sicura di sé, un’archeologa senza scrupoli pronta a fronteggiare qualsiasi ostacolo senza battere ciglio.

Tomb Raider IV: The Last Revelation, si apre con un flashback (nonché un utile tutorial) in cui la nostra giovanissima eroina esplora un tempio cambogiano assieme al suo mentore Werner Von Croy. I due sono alla ricerca di un particolare manufatto chiamato l’Iride, un nome che sentiremo più spesso nel corso dell’avventura.
Tornando al presente, le azioni della nostra protagonista in una tomba egizia porteranno alla liberazione dell’antico dio Seth, la cui indole malefica minaccia la sicurezza dell’intero genere umano.

Tomb Raider V: Chronicles, rilasciato a ridosso della diffusione della console PS2, è l’ultimo capitolo della saga a mantenere l’estetica e le atmosfere originali. La trama si apre con il funerale di Lara, che sembra essere stata coinvolta in un incidente fatale nel precedente capitolo.
Gli eventi della narrazione sono presentati in maniera frammentata sotto forma di ricordo e testimonianza dei suoi amici presenti alla funzione; che sia davvero finita qui per la nostra eroina?

E infine, Tomb Raider VI: The Angel of Darkness, fu il primo capitolo destinato alle console di “nuova generazione”, e un fondamentale shift nei toni e nelle tematiche, stavolta decisamente più misteriosi e cupi.
Nelle sequenze iniziali, la nostra eroina viene accusata ingiustamente di omicidio e costretta a fuggire dalle autorità in una Parigi labirintica e ricca di segreti.
Nel corso dell’avventura Lara dovrà confrontarsi con l’organizzazione segreta “The Cabal”, che pianifica di risvegliare un antico potere divino tramite l’utilizzo di un artefatto perduto.

La trama di questi titoli è rimasta cristallizzata nel tempo, così come l’identità dei personaggi che la compongono. Aspyr non ha messo mano sulle cutscenes prerenderizzate se non con un filtro di upscaling piuttosto leggero, ma ha aggiunto i sottotitoli per rendere l’esperienza meno affaticante da seguire.


Gameplay

I primi due Tomb Raider di questa collection sono piuttosto simili in termini di gameplay, con il classico mix di piattaforme, combattimenti, risoluzione di enigmi e interazione con l’ambiente. Di questa struttura, Aspyr ha toccato poco e nulla, limitandosi ad introdurre lo schema di comandi moderni per coloro che dovessero trovare complicato approcciarsi ai più classici controlli tank della PS1.

In tutta onestà, pensiamo sia opportuno consigliare agli utenti di sforzarsi nel fare esperienza dei comandi originali, non tanto per una questione di autenticità quanto piuttosto per la praticità con cui è possibile superare alcune sequenze ed enigmi concepiti in quest’ottica. Troviamo che in alcune situazioni, in particolare per quanto concerne la risoluzione di puzzle, i controlli moderni si rivelino semplicemente meno adatti, proponendo una via di mezzo fra qualcosa di vecchio e nuovo che non riesce a catturare l’essenza di nessuna delle parti, complicando l’esperienza e rendendola frustrante anziché semplificarla.

In quanto ad altre introduzioni in termini di gameplay, abbiamo la modalità foto, sempre gradita anche nelle avventure graficamente più datate. Un occhio di riguardo è stato dato all’introduzione e integrazione di nuovi achievements, dando un motivo ulteriore agli appassionati per tornare a far esperienza dei capitoli inclusi nella remastered.
Questa nuova versione introduce anche dei piccoli QoL fra cui ricordiamo la barra della vita per i boss, lo skip delle cutscenes, il counter delle munizioni e varie modifiche eventuali ad animazioni per rendere l’esperienza più fluida.

Non manca poi il pulsantino che permette di cambiare in tempo reale l’estetica del gioco, passando dalla grafica originale a quella remasterizzata in qualsiasi momento.
Questa introduzione, diffusa sempre più spesso nelle remastered successive ad Halo CE Anniversary del 2020, permette al giocatore di apprezzare pienamente il lavoro degli sviluppatori sul potenziamento grafico ed adattamento.
Per chi fosse interessato ad effettuare un paragone più genuino, nelle opzioni esiste la possibilità di attivare i “retro FPS”, per abbassare la frequenza del framerate a quella originale una volta premuto lo switch.

Delle considerazioni separate vanno fatte per il sesto capitolo della saga, che quasi rischiò di far fallire l’intero brand e che segnò l’inizio della fine per il team di Core Design. Nel coraggioso e dispendioso tentativo di rilasciare un Tomb Raider per la sesta generazione di console, il team si ritrovò ben presto a partorire un progetto rushato, ambizioso ma al contempo non completo e costellato da una miriade di problemi tecnici e non solo.

22 anni dopo, The Angel of Darkness è ancora quel “gran peccato”, frustrante come pochi e difficile da approcciare per tutti i motivi sbagliati. Inutile dire che, sfortunatamente, non bastano i quality of life o i controlli moderni introdotti da Aspyr a rendere il progetto più riuscito di quanto non lo sia.


Comparto artistico e tecnico

Non c’è dubbio, l’aspetto più rilevante del lavoro di Aspyr per quanto concerne la trilogia remasterizzata risiede nel comparto tecnico rinnovato e nel modo in cui questo influenza, nel bene o nel male, l’identità artistica del progetto originale.

La differenza estetica, quantomeno nei primi due capitoli, è semplicemente abissale, con texture upscalate ad alta risoluzione, modelli 3D molto più densi e definiti ed un sistema di illuminazione moderno con tanto di ombre dinamiche.
A dirla tutta, considerando la risoluzione bassissima di alcuni ambienti e dettagli del titolo originale, c’è da considerare un importante lavoro di tipo interpretativo nella realizzazione di texture così nitide e dettagliate. Per farla breve, non sempre ci troviamo di fronte a qualcosa di “semplicemente migliore”, può capitare infatti che in alcuni segmenti il gioco tenda a stonare visivamente nell’accostamento di scenari che non integrano ottimamente gli elementi rinnovati all’interno dell’ambientazione.

Non di meno, il team si merita un plauso per l’attenzione e la cura con cui ha svolto un lavoro così delicato ed importante per la storia del videogioco. Certo, si sarebbe potuto fare qualcosa di più remasterizzando anche le OST o addirittura riarrangiandole (il compositore originale lo ha fatto recentemente ma in separata sede), ma è facile immaginare che il team abbia preferito mantenere il più possibile intatta l’anima dei titoli originali per PS1.

Un discorso ancora diverso va fatto per The Angel of Darkness, graficamente superiore ai predecessori al netto di un salto generazionale, che non riceve chissà quali miglioramenti in termini estetici e funzionali da questa operazione di riadattamento.
Se le texture sono effettivamente in una risoluzione generalmente migliorata, il titolo rimane bloccato a 60FPS e mantiene i classici bug e glitch che lo hanno caratterizzato sin dal lancio originale nel lontano 2003.
Insomma, chi ha già avuto la fortuna (e la pazienza) di completare il titolo in precedenza, non troverà in questa collection un motivo particolarmente valido per tornare a giocarlo.


Ringraziamo Sandboxstrat per averci fornito una chiave del gioco per realizzare questa recensione.
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Tomb Raider IV-VI Remastered (PC)
In conclusione...
Tirando le somme, questa seconda remastered non fa che ripetere il già ottimo lavoro compiuto l'anno scorso sui primi capitoli della saga. Riesce nell'importante compito di portare l'intera esperienza di Tomb Raider alle nuove generazioni, e lo fa non avanzando alcun tipo di discriminazione fra grande classico e flop, com'è giusto che sia. Anche presentando alcuni difetti nell'adattamento dei comandi piuttosto che della grafica in alcuni scenari, l'operazione di remasterizzazione è fatta con grandissima cura e rispetto per il materiale originale.
Pregi
3 titoli storici in un'unica collezione
Tutto lo charme dei titoli originali, intatto
Grandissimo lavoro di riadattamento grafico
Vari QoL interessanti
Difetti
Alcuni titoli sono invecchiati peggio del previsto
Comandi moderni non sempre all'altezza
Alcuni scenari stonano un po' con le nuove texture ad alta risoluzione
8.3
Voto