In attesa del nuovo capitolo della saga, facciamo un salto indietro nel tempo e parliamo di uno dei pilastri del gaming, considerato da alcuni uno tra i migliori capitoli del franchise della giovane principessa Hyruliana (se non il migliore).
Come è invecchiato dopo tre decenni? 

Nell’ultimo mese, ho avuto la fortuna di recuperare sul mio GameBoy Advance SP, il porting di a Link to the Past.
Sì, lo so, ormai è perfettamente giocabile su ogni tipo di dispositivo, ma sull’hardware originale ha tutto un altro feeling, che i tasti di altre console non sono minimamente in grado di eguagliare. Mi sono quindi armato di tanta (ma tanta) pazienza e ho deciso di iniziare questa avventura, la quale posso dire che ha ripagato pienamente le aspettative che avevo riposto nel gioco.


Correvano gli anni 90’…

Prima di iniziare a parlare del titolo stesso, bisogna aprire una breve parentesi sul contesto storico di riferimento. Era il 1989 quando Nintendo rilasciò il SNES (Super Nintendo Entertainment System), l’erede del Nintendo Entertainment System (NES). All’epoca, già due capitoli della saga di Zelda erano stati rilasciati per quest’ultima, e con la nuova generazione serviva un seguito, che non tardò ad arrivare: nel 1991, dopo solo due anni di vita della console, Nintendo fa il grande passo e pubblica il terzo titolo della saga, The Legend of Zelda – A Link to the Past.

Sviluppare un sequel è sempre una grossa responsabilità da assumersi, specie quando parliamo di una serie che al tempo collezionò circa 12 milioni e mezzo di copie vendute in tutto il mondo, ma soprattutto quando a cambiare è lo stile grafico, proprio come succede in altri franchise. La decisione di Nintendo di optare per una transizione da una visuale 2D, simile a quella di un classico platform, ad una visuale isometrica 2.5D, fu senza dubbio rischiosa, ma al giorno d’oggi riusciamo ad affermare che la grande N ha centrato in pieno il suo obiettivo. Non a causa del numero di copie vendute, di poco superiore al secondo episodio, ma grazie ad un mix di gameplay, worldbuilding e soundtrack iconiche che farebbe tuttora invidia a molti titoli grossi dei giorni nostri.


Trama

La Principessa Zelda è stata rapita…

La trama è quanto di più basilare si possa ricercare in un videogioco. Vestiamo i panni di Link, un giovane appartenente alla tribù degli Hylia, che un giorno viene risvegliato da una richiesta di aiuto telepatica della principessa Zelda, la quale è stata rapita da Aganhim, uno scagnozzo del malvagio di turno. Ci incamminiamo quindi verso le mura del Castello di Hyrule: ha qui inizio la nostra avventura, che ci porterà a sconfiggere Ganon, il villain di questo capitolo, e liberare non una, ma sette principesse!

Durante il nostro viaggio avremo modo di scoprire ulteriori dettagli sulla lore e sul background della regione di Hyrule, non imbattendoci però in nessun colpo di scena e nessun intreccio, ma semplicemente in una trama che prosegue in modo lineare man mano che si avanza nel gioco.


Gameplay

Ma allora cos’è che rende questo capitolo, a nostro parere, uno tra i migliori videogiochi di tutti i tempi?

Prima di tutto, bastano quattro tasti per iniziare a giocare: con il tasto B si attacca usando la spada, col tasto A vengono utilizzati gli oggetti, con L si apre la mappa e, infine, il tasto R è un “coltellino svizzero” che riassume più funzionalità, dallo sprint al dialogo con NPC e dallo spingere oggetti a tirarli indietro. Semplice ed essenziale, tramite l’uso di solamente quattro pulsanti, il gameplay riesce a tirar fuori tutte le potenzialità che mamma Nintendo aveva concepito per l’epoca.
Ed è proprio questa semplicità che ci permette una certa libertà nello sconfiggere lo stesso nemico in più modi: basterebbe spammare l’attacco con la spada per sconfiggere i nemici iniziali, ma nulla ci vieta di scoccare una freccia, di tirare il boomerang, di lanciare una bomba, o ancora di utilizzare delle magie di fuoco o di ghiaccio.

Sconfiggere i nemici non ti dà esperienza (non siamo in un RPG), ma ciò non significa che sia una componente inutile. Infatti eliminare i vari mob, che poi naturalmente ricompaiono, rilascia Rupie (la famosa valuta del gioco) oppure, con una piccola possibilità, un cuore che andrà a curare Link.
Proseguendo nel gioco, i mob e i boss si faranno sempre più tosti, richiedendo al giocatore di pensare a dei nuovi modi per proseguire: scudi che possono essere sfondati solo tramite il martello o l’utilizzo delle bombe, oppure nemici veloci che possono essere battuti con l’utilizzo della spada ma sono deboli a distanza. Insomma, la voglia di sperimentare viene sempre ripagata e, nonostante alcune creature vengano riutilizzate un po’ ovunque nella regione, il gioco non risulta mai banale o ripetitivo.

Worldbuilding e Esplorazione

Ma il vero punto di forza, la punta di diamante di A Link to the Past, è il worldbuilding e, di conseguenza, l’esplorazione dello stesso mondo di gioco. La formula di avanzamento è familiare: vai in tale grotta, risolvi i puzzle, trovi il nuovo oggetto e sconfiggi il boss. Ma è proprio questa semplicità a essere sbalorditiva, con i legacy dungeon unici e capaci di mettere alla prova il giocatore non solo manualmente, ma anche mentalmente tramite la risoluzione di puzzle mai scontati.

Un ulteriore peculiarità di questo capitolo è la coesistenza di due mondi paralleli, il Mondo di Luce e il Mondo Oscuro, entrambi connessi tra loro e che permettono al giocatore di saltare da una dimensione all’altra per risolvere dei puzzle, i quali (diciamocelo) regalano ogni volta un grande senso di soddisfazione. 

Da amante dei Soulslike, non potevo non rimanere sorpreso da quanto appagante sia stato esplorare Hyrule. Non sei tenuto per mano, le dritte ti vengono date dagli NPC e gli obiettivi principali, se veramente importanti, rimangono gli unici segnati nella mappa.

Pur non essendo enorme, Hyrule offre caverne nascoste, piccoli dungeon intricati e cunicoli segreti sotto le pietre: tutti posti che, una volta trovati, ricompensano il nostro eroe con nuovi oggetti e potenziamenti, talvolta necessari per l’avanzamento nell’avventura principale. Nulla vieta però di saltare l’esplorazione e procedere dritto con i dungeon principali, seppur il risultato sarà solamente un’esperienza castrata e, talvolta, frustrante. 


In conclusione…

A Link to the Past riassume tutto ciò che bisogna cercare in un videogioco di questo genere: un gameplay semplice, ma accattivante, e un’esplorazione soddisfacente e mai ridondante, la somma dei quali riesce a tenere il giocatore attaccato allo schermo. In fin dei conti, il peso dell’anzianità non ha per nulla colpito questo gioco, essendo perfettamente godibile dopo tutti questi anni, tanto che lo stesso modello è stato d’ispirazione sia per i capitoli successivi della serie, sia per la nascita di un nuovo sottogenere: i Zelda-like (Tunic, I see you). 

È stata un’esperienza veramente appagante che, appena terminata, mi ha lasciato un vuoto dentro e davvero tanta voglia di volerne ancora. Se non l’avete mai giocato, siete ancora in tempo per recuperare questa grandissima perla che, almeno personalmente, mi ha fatto capire perché il franchise di Zelda sia diventato così iconico. Mi raccomando però, prendetevela con calma e cercate di goderlo al meglio, ne varrà sicuramente la pena! 

A breve uscirà il nuovo capitolo della serie, Echoes of Wisdom, che ovviamente non vediamo l’ora di avere tra le mani. A presto!


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Di Carlo Deriu

Giovane dal cuore stagionato, innamorato dei videogiochi da quando era alto così. Ama giocare a Magic the Gathering, gli sport, la fotografia, i manga e, ovviamente, la sua gatta.